Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2011 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 23 maggio 2011 alle ore 08:30.

My24
Il balletto scatenato tra l'euro e il dollaroIl balletto scatenato tra l'euro e il dollaro

Euro e dollaro continuano il loro balletto. Partendo da 1,35 dollari per un euro all'inizio della crisi finanziaria, nel luglio del 2007, il cambio ha raggiunto il picco storico di 1,60 un anno dopo, per poi scendere fino a 1,23 nell'Ottobre del 2008, poco dopo il collasso di Lehman Brothers. Ha ripreso quota 1,50 alla fine del 2009 per poi crollare a 1,19 dopo la prima crisi greca e riacciuffare quota 1,50 la scorsa settimana fino a scendere precipitosamente anche sotto l'1,42 registrato venerdì. Tutto ciò con ulteriori ampie oscillazioni interne.

È possibile rintracciare qualche regolarità all'interno di questo sentiero erratico? La prima di queste regolarità risponde a un teorema di inutilità dei modelli economici, almeno di quelli che si occupano di modellare il tasso di cambio. Come Richard Meese e Ken Rogoff hanno mostrato, la migliore previsione che possiamo formulare oggi sull'andamento futuro del tasso di cambio non è altro che il valore odierno del tasso di cambio. Ecco, se avessimo guardato nel luglio 2007 attraverso la sfera di cristallo di Meese e Rogoff, avremmo previsto per oggi un tasso di cambio euro-dollaro a 1,35 non molto distante dal valore attuale. E se avessimo usato qualsiasi altro modello economico, avremmo fatto peggio.

Questo risultato ci sconforta e allo stesso tempo limita qualsiasi tentativo di spiegazione che possiamo dare. Ma in fondo non è tanto più sconsolante dell'osservare che le dimensioni degli scambi nel mercato delle valute sono realmente gigantesche. Solo negli Stati Uniti si trattano su base giornaliera contratti sui cambi spot e forward pari a 800 miliardi di dollari. Sui loro derivati, opzioni e altro, circolano più di 700 miliardi. Sommando significa che gli scambi di un solo giorno equivalgono quasi al valore del Pil di un paese come l'Italia, prodotto invece in un anno intero. Di questi scambi sappiamo poco, non conosciamo quali siano i motivi sottostanti: se rispondano a speculazione o a strategie di copertura dei rischi o a variazioni nella gestione dei portafogli degli operatori economici.

Con la dovuta cautela, possiamo individuare altre due regolarità. Nella prima entrano in gioco le politiche monetarie e in particolare le differenze nelle politiche monetarie fra i paesi. Se la Bce alza o annuncia di alzare i tassi d'interesse mentre la Fed rimane ferma, l'euro si rafforza per un certo periodo. Dall'inizio della crisi finanziaria, ci sono stati almeno due episodi che si possono spiegare in questo modo. Nel luglio 2008, quando la Bce ha alzato i tassi, l'euro si è rafforzato notevolmente. Così come dall'inizio di quest'anno fino alla scorsa settimana, il cambio è passato da 1,28 a 1,49 per poi sgonfiarsi.

Cioè da quando Trichet ha fatto capire che avrebbe alzato i tassi d'interesse fino a quando ha incominciato a rimangiarsi le parole. Gli annunci e le parole su questo mercato, contano più dei fatti. In questi episodi, i capitali si muovono dal paese con i tassi d'interesse più bassi a quello con i tassi più alti per guadagnare sul differenziale dei tassi ma anche per speculare sull'apprezzamento della valuta con i tassi più alti. Strategie che rispondono al nome di carry trade.

C'è un altro episodio, di natura un po' diversa, che è sempre ascrivibile alle differenze nelle politiche monetarie. Il tasso di cambio è passato da 1,25 a 1,40 nel giro di qualche mese quando Bernanke, nello scorso agosto, ha annunciato la seconda manovra di allentamento quantitativo, il QE2. Oltre che sui tassi d'interesse, in questo caso, la politica monetaria ha anche agito sulla composizione dei portafogli degli investitori spostandoli dal mercato dei titoli di stato ad altri mercati ed eventualmente fuori dagli Stati Uniti indebolendo il dollaro.

L'ultima regolarità, invece, lega il tasso di cambio all'incertezza. In questa crisi, tutte le volte che l'incertezza nei mercati finanziari è aumentata - cosa che possiamo misurare con alcuni indicatori di mercato come l'indice di volatilità del mercato azionario statunitense (Vix) - il dollaro si è rafforzato. Sorprendentemente, questo è successo anche dopo Lehman Brothers, nel mezzo della crisi sub-prime. In quella situazione, è emersa una forte domanda di dollari in tutto il mondo per coprire le linee di credito che venivano utilizzate per finanziare i titoli tossici, denominati in dollari.

Ma, in generale, periodi di elevata incertezza producono eccessi di domanda di beni rifugio anche perché scarseggiano le attività finanziarie che sono effettivamente prive di rischio. Il dollaro, nonostante tutto, è ancora percepito come bene rifugio e quindi si apprezza nei momenti più critici per l'economia. Così anche in questi giorni, l'incertezza sulla situazione dei debiti sovrani europei non fa altro che spostare i capitali fuori dall'euro a favore del dollaro e in particolare del franco svizzero.

In fondo, conosciamo così poco del mercato delle valute che l'unico insegnamento da trarne è che si lasci tutto al mercato. È un insegnamento che dovrebbe far molto riflettere chi, come l'Unione monetaria europea, ha ridotto a zero la flessibilità dei cambi senza creare altri strumenti o meccanismi di flessibilità per rispondere a tutte le divergenze che stanno emergendo.

Shopping24

Dai nostri archivi