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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2011 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 26 maggio 2011 alle ore 08:38.

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Sono in costante diminuzione gli osservatori che ancora credono che la Grecia ripagherà il suo debito pubblico. Nonostante uno straordinario sforzo compiuto nell'anno passato, il disavanzo di bilancio greco rimane alto, mentre l'economia è in grande sofferenza in parte anche a causa di quello sforzo. Il risultato è che l'indebitamento di Atene continua ad aumentare invece di diminuire.

Chi ancora spera di prevenire una ristrutturazione punta su un colossale programma di privatizzazioni combinato con una ancora più feroce e permanente stangata fiscale, ma a molti e l'uno e l'altra appaiono sempre meno politicamente sostenibili, se non addirittura tecnicamente irrealizzabili.

Se una ristrutturazione è inevitabile, sarebbe opportuno cominciare a preparare il terreno perché essa si svolga nel modo più ordinato possibile. Come ha sottolineato due giorni fa Moody's, più si tergiversa e più cresce il nervosismo dei mercati. Ma ogni suggerimento in tal senso si scontra con il veto inflessibile della Banca centrale europea, che rimane fermamente ancorata al dogma della sacralità del debito greco e dell'inaccettabilità di ogni alterazione concordata della sua struttura ed entità.

È naturale chiedersi cosa spieghi la veemenza della Bce nel tenersi ancorata a una posizione che pare sempre meno pragmatica, se non addirittura irrealistica. Può darsi che la Banca centrale creda ancora molto probabili effetti di contagio al Portogallo e all'Irlanda (che non sarebbe un disastro) e alla Spagna (che lo sarebbe). Ma questo sposta solo la domanda: perché la Bce è ancora convinta di un pericolo che molti hanno già scontato, soprattutto per quanto riguarda la Spagna?

Per formulare un'ipotesi di risposta è utile riandare a certe fondamentali scelte fatte dalla Bce fin dall'inizio della sua esistenza, e ad altre più recenti fatte durante la recente crisi finanziaria e debitoria. La Bce è oggi prigioniera delle conseguenze di quelle scelte.

In quanto banca centrale, una delle funzioni fondamentali della Bce è di provvedere liquidità all'economia. La Bce crea liquidità prestando soldi alle banche. Le banche garantiscono questi prestiti con titoli pubblici che tengono nel proprio portafoglio. È proprio il fatto che i titoli pubblici danno accesso al credito della Bce (e, nei rispettivi Paesi, delle altre banche centrali) una delle ragioni per cui le banche li acquistano.

Normalmente c'è un unico governo e quindi un unico emittente di titoli pubblici per banca centrale. Ma la Bce è nella straordinaria situazione di essere l'unica autorità monetaria in uno spazio economico con molteplici autorità fiscali sovrane (11 all'origine, 17 oggi).

Nel definire le condizioni delle sue relazioni con le banche, la Bce ha dovuto dunque decidere quali dei Paesi membri emettevano titoli che potevano essere usati a garanzia di iniezioni di liquidità e quali no, o, più precisamente, se e quanto scontare i titoli dei Paesi le cui finanze pubbliche parevano meno solide. La decisione della Bce, che oggi ritorna a perseguitarla, fu di trattare tutti i titoli pubblici esattamente alla stessa stregua. Vale a dire, per la Bce 100 euro di debito greco erano esattamente uguali a 100 euro di debito tedesco.

Questa fatale decisione ha avuto molteplici ramificazioni, che oggi ritornano a incontrarsi esplosivamente. In primo luogo, la Bce segnalava ai mercati di considerare inconcepibile la prospettiva che un Paese membro dell'Unione monetaria potesse ristrutturare o ripudiare il suo debito. Questo ha consentito a certi Paesi di continuare a lungo a indebitarsi a tassi artificialmente bassi, e a ritmi che oggi si rivelano essere stati insostenibili.

In secondo luogo, la disponibilità della Bce a fare crediti garantiti da qualunque emittente sovrano ha indotto le banche europee a esporsi molto di più di quanto non sarebbe stato prudente ai debiti dei Paesi periferici. Questa esposizione oggi minaccia la stabilità stessa del sistema finanziario europeo.

Infine, poiché la liquidità fornita dalla Bce è garantita da questi titoli, la Bce stessa è pesantemente esposta verso gli emittenti periferici e rischia gravissime perdite in caso alcuni di essi ristrutturino i loro debiti. Quest'ultimo problema è oggi grandemente aggravato dalla più recente decisione di acquistare direttamente grandissime quantità di debito periferico.

Si capisce dunque perché un'eventuale ristrutturazione in un Paese dell'Eurozona spaventa tanto la Bce. La costringe ad ammettere che era sbagliata la premessa ideologica (l'indistinguibilità dei debiti nazionali) su cui ha basato la sua struttura operativa. Le addossa in parte la responsabilità per le ingenti perdite che i sistemi finanziari (e in ultima analisi i contribuenti) dovranno subire, tanto più imbarazzante in quanto la stabilità finanziaria è proprio una delle sue responsabilità. E la costringe all'umiliazione di dover ripianare le sue perdite monetizzandole.

Non è sorprendente che a fronte di queste conseguenze la Bce preferisca negare l'evidente e si aggrappi alla speranza di un miracolo.
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