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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 27 maggio 2011 alle ore 06:43.

I lunghi, sentiti applausi che l'assemblea di Confindustria, nell'anno del centocinquantenario dell'Unità d'Italia, ha rivolto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e al governatore della Banca d'Italia Mario Draghi (avviato a prendere il timone della Banca Centrale Europea) hanno scacciato, almeno per un giorno, i fantasmi di una lotta politica tanto feroce quanto poco interessata, in ultima analisi, a rispondere alle domande concrete dei cittadini e delle imprese.

Chi prevedeva che l'appuntamento di ieri, ormai a un soffio dai ballottaggi del secondo e decisivo turno amministrativo, potesse dare esca a un'ulteriore occasione di scontro elettoralistico è stato smentito. Ed è stato un bene. Prima un video con le immagini, tra le altre, del "miracolo" italiano e poi le note di "Fratelli d'Italia" hanno restituito forte la sensazione che il Paese può ritrovarsi unito con l'obiettivo di uscire dalle sabbie mobili della crisi e riprendere il cammino interrotto dello sviluppo.

I fatti e i numeri indicano che, su questa strada, i dieci anni alle nostre spalle sono stati perduti (il Pil italiano è cresciuto nell'ultimo decennio del solo 2,5%, rispetto al 17% degli anni Novanta e del 26,9% degli Ottanta). Emma Marcegaglia, alla sua ultima relazione da presidente degli industriali, ha parlato con un linguaggio trasparente. Ha notato che la minore competitività e la mancata crescita sono il frutto delle divisioni interne alla maggioranza e dell'incapacità dell'opposizione di esprimere un disegno riformista. Ed ha chiuso il suo intervento, dopo una citazione di Max Weber, con il messaggio che, se necessario, gli imprenditori saranno pronti a battersi per l'Italia "anche fuori dalle imprese".

L'agenda sul che fare è già scritta, e non da ieri. L'unica priorità è la crescita. Bisogna dunque recuperare lo spirito vincente degli anni del dopoguerra, affermare la cultura del merito e del mercato, riguadagnare la fiducia di cittadini ed imprese, proteggere i lavoratori dalla perdita di reddito, non dalla perdita del posto di lavoro. Bisogna che lo Stato smetta di fare male il troppo che fa e che invece faccia bene l'essenziale che deve, ha spiegato Marcegaglia. Gli applausi della platea sono stati scroscianti quando è stata denunciata la proliferazione del capitalismo pubblico municipale, concorrente sleale delle imprese. E quando è stato toccato il tema del costo esorbitante della politica, che non conosce la stagione dei tagli nemmeno in una fase così grave per l'Italia.

Al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e al Governo la Confindustra, che non chiede aiuti pubblici e punta piuttosto a muoversi per allargare la libertà d'impresa e la concorrenza, riconosce di aver assicurato l'indispensabile tenuta dei conti pubblici. Vengono giudicati positivamente la riforma dell'Università e gli interventi di semplificazione normativa. Ma è impietoso, nel complesso, il secco bilancio di questi primi tre anni di legislatura. I problemi non si risolvono con i tagli lineari nelle spese correnti e l'accetta sugli investimenti pubblici. Il Governo non ha ancora presentato la legge sulla concorrenza. Il piano per il Sud e le liberalizzazioni sono al palo. Su fisco e infrastrutture la svolta è di là da venire.

Il confronto duro con l'Esecutivo, nel merito delle scelte e delle non-scelte, è destinato a proseguire. Il mito da sfatare, ha detto Marcegaglia, è che l'Italia «vada in fondo bene e che dunque gli imprenditori devono piantarla di lamentarsi». Non ci contate, è il messaggio. Confindustria difenderà la propria autonomia e resterà impermeabile ad "ogni strattone polemico" che punti a collocarla qualche centrimetro più vicina o lontana dal Governo o dall'opposizione. Di più: come per il blocco della centrale di Porto Tolle, o l'Ikea di Vecchiano o la cementeria di Moselice, imprenditori e lavoratori saranno insieme in piazza contro quelle regole che hanno il solo risultato di "uccidere la crescita".

All'atmosfera sobria, patriottica, scioltasi alla fine con il triplice «Viva l'industria! Viva il lavoro italiano! Viva l'Italia!», hanno fatto da contrappunto analisi taglienti. Nei confronti della politica, come abbiamo visto. Ma anche all'interno del mondo dell'impresa, su quel terreno delle relazioni industriali dove la bussola è la riforma dei contratti del 2009, sulla quale Confindustria è decisa ad andare avanti.

C'è la possibilità che Fiat, nel caso di problemi per l'attuazione del piano per Mirafiori, esca dall'associazione degli industriali? Il tema non è d'attualità, ha risposto ieri il presidente John Elkann. Ma il passaggio di Marcegaglia è parso inevitabile. Rappresento, ha detto, tutti i 150mila associati, non esistono soci di serie A e serie B, non agiamo sotto pressione di nessuno e non pieghiamo le regole della maggioranza per le esigenze di un singolo. Parole nette, alle quali la presidente di Confindustria, a braccio, ha aggiunto: «Sono finiti i tempi in cui poche aziende decidevano l'agenda di Confindustria, proseguiremo a modernizzare le regole sindacali senza strappi improvvisi che fanno male al sistema delle imprese e del Paese». Ultima relazione, ma per nulla scontata.

guido.gentili@ilsole24ore.com
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