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Questo articolo è stato pubblicato il 30 maggio 2011 alle ore 14:13.

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Un trend simile sugli investimenti: a partire dalla metà degli anni '80 subiscono un calo quando la politica per il Sud cambia natura e viene dirottata «verso interventi di carattere assistenziale» che non guardano allo sviluppo del territorio.

Ma il Sud recupera in qualità della vita e istruzione
Nel 1910 il divario tra Nord e Sud per speranza di vita era molto forte: in Veneto si viveva 4 anni in più che in Campania (47,8 rispetto a 43,6), 8 anni più che in Puglia (47,8 rispetto a 39,2). Nel 1970 la speranza di vita al Sud arrivava invece a 69,9 anni contro i 69 della media nazionale, due anni in più del Nord-Ovest (68).
Dal punto di vista dell'istruzione, nel 1861 gli analfabeti al Sud erano l'87% della popolazione, contro il 67% del Centro-Nord. Nel 1951 erano scesi al 24,4%. Quanto al tasso di scolarizzazione, la rincorsa ha fatto addirittura segnare un sorpasso: nel 2009 il tasso di iscrizione all'Università era del 33,5% al Sud e del 33,1% al Centro-Nord (nel 2009 51,5% contro 42%). Guardando agli anni di istruzione pro capite, la differenza tra Mezzogiorno e Centro-Nord nel 2010 si era ridotta a mezzo punto percentuale (9,6 anni contro 10,1).

Infrastrutture: il caso Ferrovie
Situazione altalenante sul fronte del trasporto ferroviario: se nel 1861 il divario tra le due aree era enorme in tutto il Mezzogiorno (i km di ferrovie erano soltanto 184, contro i 2.336 del Centro-Nord), nel 1912 i km di binari erano aumentati di 5 volte al Centro-Nord, arrivando a 10.274, mentre al Sud l'aumento era stato di ben 70 volte, arrivando a 7.101km. Guardando però alla percentuale di km di ferrovie su 1.000 km di superficie, già nel 1938 il Sud superava il Nord, con 76,8 km rispetto a 73,7. Situazione di sostanziale pareggio venti anni dopo, nel 1958, con 71 km di ferrovie su 1.000 di superficie al Centro-Nord e 72,1 al Sud.
Interessante notare le tendenze degli ultimi anni: nel 2009 i km di ferrovie al Centro-Nord erano 10.895, pari a 61,1 su 1.000 di superficie. al Sud, invece, 5.731, pari a 46,6 km ogni 1.000.

Strategie sul Mediterraneo, politica fiscale e industriale per rilanciare il Sud
«Il Mezzogiorno - ha concluso Bianchi - è partito con condizioni di assoluto svantaggio che erano legate ad indicatori sociali che hanno pesato e condizionato la crescita nel primo secolo dopo l'Unità d'Italia. Dal dopoguerra ad oggi si evidenzia una prima fase di forte recupero quando c'era una politica nazionale orientata al riequilibrio dei territori che però poi dagli anni '80 si è interrotta e stiamo ancora aspettando di ridefinire un quadro organico di interventi per il Sud. Nel frattempo il Sud è cresciuto ed è cambiato: gli indicatori sociali infatti sono più o meno gli stessi rispetto al Nord, ma a questo non ha corrisposto una crescita degli indicatori economici». Se non si saprà porre rimedio «il Paese nel suo complesso non può crescere. La nostra storia ci insegna che le due aree crescono insieme e declinano insieme».
Oggi il Mezzogiorno si propone come «opportunità strategica del Sistema Italia», ha detto il presidente dello Svimez, Giannola, secondo il quale però è necessario puntare su tre direttrici: centralità del Mediterraneo, fiscalità differenziata, politica industriale centrata su logistica e fonti energetiche alternative e tradizionali. Senza un progetto Sud forte e condiviso, infatti, il rischio è che, se non contrastato, il «silenzioso tsunami demografico ci consegnerà nel giro di poco più di trent'anni un Sud spopolato, anziano, cronicamente e ben più "patologicamente dipendente" di oggi per l' effetto congiunto di un declino nella fertilità, del progredire della speranza di vita e di una ben peculiare ripresa dell'emigrazione».

Fini: il federalismo non sottragga risorse al Sud
«L'Italia deve porre al centro del confronto politico, tanto nelle aule parlamentari quanto nelle sedi di discussioni che vedono coinvolte le organizzazioni rappresentative del mondo produttivo, l'esigenze di recuperare tassi di crescita accettabili». Lo ha dichiarato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, intervenuto alla Giornata di Studio organizzata dallo Svimez. Per Fini, inoltre, la riforma del federalismo fiscale «non può costituire l'occasione per sottrarre alle amministrazioni del Mezzogiorno le risorse necessarie per assicurare i servizi essenziali». Secondo il presidente della Camera, dunque, «non si può coltivare l'illusione che, per incidere significativamente sulla minore efficienza delle amministrazioni meridionali, sia sufficiente cambiare la legislazione a fronte di abitudini e prassi che rimangono sostanzialmente immutate». Tuttavia, per il presidente della Camera, l'attuazione della riforma del federalismo fiscale «potrebbe offrire qualche possibilità di progresso per quanto concerne il miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini da parte degli enti territoriali, se non altro laddove dovesse, come è fortemente auspicabile (è quella famosa assunzione di responsabilità che si chiede a tutti gli amministratori), impegnare i rispettivi amministratori a fornire informazioni puntuali e comparabili sui dati contabili e sui risultati conseguiti rispetto agli obiettivi dichiarati».


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