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Questo articolo è stato pubblicato il 31 maggio 2011 alle ore 21:31.

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Mercoledì è previsto che si voti per la presidenza della Fifa, la Fédération internationale de football association. E il settantacinquenne Joseph "Sepp" Blatter, svizzero nato a Visp nel Canton Vallese, punta al quarto e ultimo (almeno così dice l'interessato) mandato consecutivo. La corsa si svolge mentre infuria una delle periodiche tempeste che continuano a gettare discredito sulla Federazione e sulla sua dirigenza. Senonché, in questa occasione, anche gli sponsor come Coca Cola, Adidas, Visa ed Emirates sembrano piuttosto nervosi.

Eppure Blatter cerca pervicacemente la rielezione, con buona pace, pare, della Federazione inglese che ha chiesto un rinvio del voto, seguita soltanto dalla Scozia, mentre per poter posticipare l'assise servirebbe l'ok del 75 per cento delle 208 Federazioni nazionali, un obiettivo sostanzialmente irraggiungibile.

La querelle in corso è nata dalle accuse incrociate di corruzione tra lo stesso Sepp Blatter, Jack Warner, che è a capo della Concacaf (la Confederazione calcio dell'America settentrionale e centrale e dei Caraibi), e il capo della Confederazione asiatica Mohamed Bin Hammam. Quest'ultimo è del Qatar, paese che ha vinto l'organizzazione del Mondiale del 2022, ed era l'unico altro concorrente alla massima carica nella Fifa. Il Comitato etico ha sospeso Warner e Bin Hammam, ma non l'ex colonnello dell'esercito elvetico che, come già accaduto in passato, è rimasto l'unico concorrente alla presidenza.

La vicenda si è ulteriormente complicata quando Warner ha reso pubblica una e-mail del segretario Fifa Jérôme Valcke, un devotissimo di Blatter che avrebbe scritto: «Non capisco perché Bin Hammam si sia candidato alla presidenza, forse pensava di poter comprare la Fifa come loro hanno comprato il Mondiale» ("loro" sarebbero naturalmente i qatarioti), adombrando così ulteriori fenomeni di scorrimento carsico del denaro.
La confusione è aumentata di ora in ora, ma Blatter è abituato alle turbolenze. E raramente il preoccupato corrucciarsi della fronte ha sciupato la floridezza del suo volto rotondetto.

Arrivato a capo della Fifa nel 1998, sostituendo un altro inamovibile come il brasiliano João Havelange, che aveva poggiato le terga sulla poltrona più importante della Federazione internazionale per ben ventiquattro anni, Blatter è abituato fin dai suoi esordi a essere accompagnato dalle polemiche. Le accuse sono sempre le stesse: corruzione, uso disinvolto dei quattrini, gestione opaca, alleanze lubrificate a colpi di franchi svizzeri. Eppure Sepp è sempre rimasto in piedi.

Già in occasione della sua prima vittoria elettorale nel 1998, in cui batté la concorrenza dello svedese Lennart Johansson, si fecero strada voci riguardanti circolazione di mazzette e torbide vicende che avevano come protagonisti rappresentanti di paesi calcisticamente improbabili, come Farah Addo, che era a capo della Federazione somala. Paesi improbabili, ma detentori di un preziosisissimo voto che vale tanto quanto quello dell'Italia, del Brasile o della Germania. Ma gli accusatori non riuscirono a incastrare il loro nemico.

Quando nel 2002 un ex sodale di Blatter, l'allora segretario generale Fifa Michel Zen-Ruffinen (anche lui svizzero) cercò invano di dimostrare, documenti alla mano, le presunte malversazioni del suo concittadino, l'eterno Sepp, detto il "Supremo", si lamentò: «Il danno ormai è stato fatto. È come quando uno ti dice che sei uno stupratore e tu rispondi che non è stato uno stupro ma è stato amore. Rimani comunque macchiato». Ed effettivamente la nomea che si porta appresso Blatter non è delle più nivee.

Un vecchio motivo velenoso vuole che il presidente della Fifa sia «un uomo che ha cinquanta idee al giorno, cinquantuno delle quali non sono buone». E la sezione "controversie" nella pagina a lui dedicata da Wikipedia è lunga quattro volte la sua biografia. D'altra parte, le sue parole sono state spessissimo un'occasione di polemica. Sia che sostenga che le calciatrici dovrebbero indossare pantaloncini più femminili – leggi: più corti e attillati – per aumentare l'interesse degli spettatori, sia che derubrichi a problema di poco conto il fatto che in Qatar (dove convergeranno folle per assistere ai Mondiali 2022, sempre che ci sia qualcuno disposto a boccheggiare in un clima ostilissimo al gioco del calcio) l'omosessualità sia sanzionata come un reato grave, le parole di Blatter forniscono generoso combustibile a molti suoi nemici. Uno di questi, il giornalista di Sports Illustrated, Grant Wahl, si è proposto provocatoriamente come sfidante di Blatter alla presidenza della Fifa, ma non ha trovato una Federazione nazionale che lo sostenesse, una conditio sine qua non per partecipare alla sfida.

Tanto acerrima guerra per il potere si spiega con il fatto che il business della Fifa è enorme; nel periodo 2007-2010 la Federazione ha avuto introiti per 4,189 miliardi di dollari, con un utile pari a 631 milioni. E questo è uno dei motivi per cui Blatter è una delle principali bestie nere dei nostalgici di un calcio più romantico. Al punto che qualcuno vagheggia una rivoluzione ed esiti à la Hosni Mubarak. Come ha fatto ad esempio Glen Levy che un paio di mesi fa, sul suo blog nel sito di Time, si è domandato quale "uomo forte" sarebbe scivolato prima giù dalla poltrona: l'ineffabile elvetico oppure Alì Abdullah Saleh, che da più di trentadue anni è il dispotico presidente dello Yemen.

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