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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 09:42.
L'ultima modifica è del 01 giugno 2011 alle ore 09:43.

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Nel leggere per l'ultima volta le sue "Considerazioni finali" all'Assemblea Ordinaria dei Partecipanti alla Banca d'Italia, Mario Draghi ha contemporaneamente tracciato un corposo bilancio di cinque anni di governatorato in Banca d'Italia e lasciato intravvedere i binari sui quali si propone di avviare la sua presidenza della Banca Centrale Europea.
Della nostra banca centrale ha illustrato con orgoglio i cambiamenti intervenuti sotto la sua gestione; alla Bce ha invece dedicato un'indicazione di assoluta continuità, affermando che essa «ha il compito di assicurare la stabilità dei prezzi» poiché «la stabilità monetaria è il suo fondamentale contributo alla crescita». Ma non è parso per nulla conservatore nel riferirsi ai lavori del Financial Stability Board, che sotto la sua presidenza sta cercando di costruire un minimo di strutture e di dare un po' di ordine all'industria finanziaria mondiale, un compito di enorme difficoltà tecnica e ancor più di difficilissimo equilibrio tra interessi contrapposti.

La teoria economica è insufficiente: dà molteplici indicazioni, non sempre concordi, ma nessuna ricetta sicura. Eppure il cambiamento delle tecniche finanziarie è così veloce che procedere senza il sostegno della ricerca sarebbe come avvicinarsi di notte a una costa invisibile senza disporre di strumenti di scandaglio. D'altra parte, in assenza di ricette sicure, solo la conoscenza delle operazioni di mercato consente di evitare gli impatti e di saggiare precocemente l'efficacia di ogni possibile innovazione.
La versatilità che Draghi sta dimostrando nei suoi diversi ruoli discende dall'avere egli competenze di alto livello in campo scientifico, di mercato, istituzionale. Ciò gli consente di assumere a livello europeo e mondiale un insieme di responsabilità che mai nessuno dei suoi predecessori ha ricoperto. Una parte del merito di questo successo è del Paese: se, mentre Draghi si accinge a salire alla presidenza della Bce, un altro italiano, Andrea Enria, presiede l'Autorità bancaria europea (Eba) e altri connazionali occupano posizioni di rilievo in campo monetario e finanziario, al punto da sollevare qualche rimostranza per la nostra invadenza, significa che da noi i processi formativi di questo specifico capitale umano (e le relative organizzazioni) sono particolarmente buoni. Diamo fastidio per eccesso di merito.

L'ascesa di Draghi alla Bce apre il problema della sua successione, proprio perché l'eccellenza dei processi formativi mette a disposizione diversi candidati validi. Nel fare la scelta non andrebbe dimenticata la radice del successo, ossia l'appropriatezza dei processi formativi per gli specifici ruoli: che sono molto diversi in campo nazionale e sovranazionale, di mercato e istituzionale. E anche l'importanza delle qualità personali specifiche dei candidati: indipendenza e autorevolezza sono sempre importanti, ma potrebbero diventare essenziali se le finanze pubbliche del nostro Paese, sempre in condizioni delicate, dovessero attraversare qualche periodo particolarmente tempestoso.

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