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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2011 alle ore 17:10.
L'ultima modifica è del 05 giugno 2011 alle ore 17:11.

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Ha ragione Sergio Marchionne quando chiede all'Italia un cambio di atteggiamento. L'Italia, però, così tratteggiata "a gouache" è un interlocutore multiforme e forse sfuocato: Governo, Parlamento, sindacati, associazioni, magistrati, professionisti, lavoratori. Probabilmente l'ad di Fiat Chrysler si riferisce un po' a tutte queste categorie e alla melassa in cui è finita invischiata l'energia vitale dell'Italia.


Il Sole 24 Ore da tempo ha indicato le zavorre che impiombano le ali del Paese e ne bloccano lo sviluppo e una di queste è senza dubbio un sistema di relazioni industriali ancora complesso e articolato. Per il quale tuttavia è inizita una fase di coraggiosa modernizzazione: ora serve l'impegno di tutte le parti coinvolte per completarlo il più rapidamente possibile. Un sistema che, comunque, ha garantito coesione sociale laddove, a parità di condizione, in altri contesti internazionali la crisi ha gettato allo sbando intere porzioni di cittadinanza. Un sistema che ha garantito – nella storia anche non remota del Paese – una vigorosa supplenza alle carenze drammatiche della politica. E che quindi merita rispetto anche se va rivisto.


Se è evidente quale sia l'obiettivo di accelerazione che vuole imprimere Marchionne alla sua marcia verso il contratto dell'auto, non è altrettanto chiaro perchè debba adombrare il rischio che la permanenza della Fiat in Confindustria possa indebolire l'azienda e bloccrane l'iniziativa. Sono due le "urgenze" di Marchionne: le conseguenze di una decisione sfavorevole dei giudici sulla newco di Pomigliano; la necessità di ridurre il peso della Fiom nelle scelte strategiche sugli stabilimenti e sulle condizioni di lavoro (e proprio i dirigenti Fiom farebbero bene a prendere coscienza di certe posizioni pericolosee antistoriche).


Sarebbe interessante sapere quale sia stata la risposta che il vicepresidente della Confindustria John Elkann ha dato alle obiezioni del "suo" amministratore delegato. Probabilmente gli avrebbe potuto spiegare che in entrambi i casi il "vincolo associativo" alla Confindustria è del tutto ininfluente. Se il giudice del lavoro stabilirà che la newco di Pomigliano è solo una cessione di ramo d'azienda sarà inifluente fare parte o meno della Confindustria, perchè scatterà comunque l'obbligo di applicare il contratto dei metalmeccanici.

Se poi l'obiettivo è quello di escludere la Fiom dalle rappresentanze sindacali aziendali (Rsu) facendo riferimento alle vecchie rappresentanze sindacali previste dall'articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (Rsa) e lasciando "voce" sindacale solo a Cisl, Uil e Ugl, il percorso resterà complesso nella sua gestione quotidiana nelle fabbriche e, ancora una volta, di fronte ai giudici. È un obiettivo realizzabile, ma rispetto a ciò, l'appartenenza o meno alla Confindustria, non sposta nulla. Anzi, come è da sempre, l'affiliazione a un'associazione di categoria dà più forza alle istanze singole. A cominciare dal fatto che l'essere socio della principale rappresentanza dell'industria italiana, può agevolare la messa a punto del contratto collettivo dell'auto. Un percorso già seguito da altre categorie a cominciare dalle Telecomunicazioni.

La stessa presenza in Confindustria sarebbe garante anche di una eventuale deroga – da inserire in quel contratto – proprio rispetto all'applicazione delle Rsu, che l'associazione delle imprese ha contribuito a creare nel '93.

L'Italia – è vero – deve cambiare atteggiamento. Ma sarebbe difficile – anche per un manager di straordinaria levatura mondiale con ancora nell'orecchio i complimenti di Barack Obama – pensare di trasformare la Penisola negli Stati Uniti o gli italiani in americani. Il cambio è necessario ma deve seguire i percorsi istituzionali che sono, nel bene e nel male, il nerbo del paese. Anche nelle relazioni industriali l'accordo del 2009 sulle nuove regole ha dischiuso, con il sistema delle deroghe e della fungibilità contrattuale, un campo di gioco prima impensabile. Più che un po' di America, è arrivata un po' di Germania, paese che comunque ha qualcosa da insegnarci in tema di contrattazione collettiva. Basta solo volerla giocare questa partita. Con abilità, convinzione e fantasia. Pensare solo di cambiare la maglia non basta a fare goal.
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