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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2011 alle ore 09:52.

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Hilary Clinton (Ap)Hilary Clinton (Ap)

I ribelli libici hanno concluso la vendita di 1,2 milioni di barili di petrolio a una ditta statunitense, la Tesoro, scrive la Cnn citando un comunicato del dipartimento di Stato che non precisa il valore economico dell'accordo. La Tesoro ha siglato l'intesa il 25 maggio a Bengasi con il Consiglio nazionale transitorio (Cnt). Il carico sarebbe arrivato ieri a destinazione a bordo della MT Equator, in un porto delle Hawaii. «Il sostegno americano per altre vendite da parte del Consiglio nazionale transitorio continuerà per sostenere maggiori introiti per il popolo libico» si legge nel comunicato del dipartimento di Stato.

L'annuncio arriva nello stesso giorno in cui si apre negli Emirati Arabi Uniti il terzo vertice del gruppo di contatto sulla Libia. Gli Usa saranno rappresentati dal segretario di Stato Hillary Clinton. Washington non ha ufficialmente riconosciuto il Cnt, ma fonti dell'amministrazione precisano che il caso è ancora in fase di valutazione e «non c'è una decisione finale». Il segretario della Difesa Usa Robert Gates, intanto, punta il dito contro Germania e Polonia per la loro latitanza nelle operazioni aeree in Libia e rimprovera altri tre "europei" che, secondo gli americani, non starebbero facendo abbastanza nell'ambito di United Protector. Lo scrive il Financial Times all'indomani della ministeriale a porte chiuse della Nato che si è tenuta ieri a Bruxelles. Nelle stesse ore la Cina sostiene che un cessate il fuoco in Libia è «priorità assoluta» per «evitare altre catastrofi umanitarie» per bocca del ministro degli Esteri cinese, Yang Jiechi, all'indomani dell'incontro a Pechino con il suo omologo libico, Abdul Ati al-Obeidi.

Yemen, Washington vigila sulla transizione con i raid
Nella regione al centro dell'attenzione mondiale da sei mesi, gli Stati Uniti sono attivissimi non solo dal punto di vista diplomatico ma a nche da quello militare. Washington ha accentuato la pressione sullo Yemen nelle ultime settimane, intensificando i raid aerei contro le presunti basi terroristiche di Al Qaida. Lo scrive oggi il New York Times, secondo il quale la strategia americana è volta ad impedire che i terroristi si impadroniscano del potere, approfittando del momento di difficoltà del regime del presidente Ali Abadallah Saleh, bersaglio delle proteste popolari.

Ieri, la massima autorità militare americana, il generale Michael Mullen, ha messo in guardia dall'ipotesi di un «vuoto di potere» nello Yemen, che renderebbe Al Qaida «ancora più pericolosa». Sempre ieri il numero due dell'organizzazione terroristica, Ayman Zawahiri, ha lanciato un appello agli yemeniti affinché proseguano la rivolta, per riuscire ad instaurare un «regime che osservi la sharia».

Il presidente Ali Abdallah Saleh è ricoverato a Ryiadh dopo essere rimasto ferito nel corso di un bombardamento del palazzo presidenziale di San'a. L'opposizione yemenita ha garantitoall'ambasciatore Usa a Sanaa, Gerald Feierstein, che leoperazioni contro al Qaida nella penisola arabica continueranno.

Siria: Onu condanna violenze
Se ieri Londra e Parigi hanno fatto capire di essere pronti a una risoluzione Onu di condanna contro Damasco, oggi l'Alto Commissario delle Nazione Unite per i diritti umani Navi Pillay ha condannato «l'implacabile» e «violenta» repressione delle autorità siriane contro i «manifestanti pacifici in tutto il paese». «Esorto il governo a fermare questo assalto contro i più fondamentali diritti umani del proprio popolo» ha detto Pillay citando i rapporti di Ong che parlano di oltre 1.100 morti e 10mila persone detenute dall'inizio delle proteste contro il regime in marzo. Pillay ha inoltre esortato il governo di Damasco a consentire l'accesso in Siria alla missione di inchiesta istituita a fine aprile dal Consiglio Onu dei diritti umani. «Stiamo ricevendo un numero crescente di allarmanti notizie sugli sforzi del governo siriano per schiacciare senza pietà le proteste», ha detto Pillay a Ginevra. «È deplorevole per qualsiasi governo tentare di piegare la propria popolazione alla sottomissione, usando carri armati, artiglieria e cecchini».

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