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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2011 alle ore 07:59.
Per acqua, rifiuti e trasporto locale si apre una nuova stagione: il ritorno al predominio dell'in house. O, se si preferisce, il mantenimento del predominio attuale.
Un predominio che nelle risorse idriche riguarda il 60% delle attuali gestioni, con prospettive di nuove espansioni future della macchina pubblica, a scapito dei concessionari privati e delle spa miste che hanno bisogno di una gara per poter acquisire la gestione. La gara non è più obbligatoria.
Sono le aziende pubbliche controllate al 100% dagli enti locali e affidatarie del servizio senza alcuna gara i veri vincitori del referendum: tutte le attuali gestioni vengono salvaguardate fino alla loro scadenza naturale. Anche per dopo, un trionfo del pubblico: con il voto referendario il divieto di affidamento in house è saltato. Anche per la 'casta' è un bel successo: poltrone e assunzioni garantite ai sistemi politici locali per i prossimi decenni.
La rivoluzione promessa dalla riforma Fitto-Ronchi, con la fine prematura delle gestioni in house a fine 2011 e con l'avvio di una nuova stagione di gare per affidare il servizio a nuovi gestori, viene spazzata via. Per introdurre una norma che liberalizzasse i servizi pubblici locali il Parlamento aveva impiegato più di dieci anni.
Cade anche la privatizzazione forzata, che era il vero obiettivo dei referendari, almeno ufficialmente. La cessione obbligata del 40% del capitale delle aziende pubbliche non sarebbe scattata però in ogni caso, come hanno fatto credere i comitati promotori del referendum, ma solo se gli enti locali avessero rifiutato la liberalizzazione della gara e avessero deciso di proteggere la loro azienda, riconfermandole la gestione del servizio. Il referendum sui servizi pubblici locali cristallizza di fatto la situazione attuale e rende improbabile qualunque evoluzione.
Il regolamento comunitario che subentra alla riforma Fitto-Ronchi consente infatti per il futuro sia l'affidamento in house, ma solo ad aziende pubbliche controllate al 100% dagli enti locali, sia l'affidamento a privati o a spa miste o quotate tramite gara. L'unico dubbio riguarda quindi la legittimazione delle società quotate, come Acea o A2A, che hanno avuto l'affidamento del servizio senza gara: quelle gestioni oggi non hanno più una copertura normativa, perché le norme Ue non prevedono l'affidamento senza gara a un'azienda diversa da quella controllata al 100% dagli enti locali.
Resta da capire se questa assenza di copertura produce effetti immediati o solo dai prossimi affidamenti. Le associazioni per ora minimizzano. La questione è annosa e potrebbe richiedere una norma di salvaguardia ad hoc di queste gestioni.
Per la gestione dell'acqua un'ulteriore spinta alla ripubblicizzazione o, meglio, alla rifiscalizzazione del settore arriva dal secondo quesito, quello sulla tariffa idrica. Viene cancellata la 'adeguata remunerazione del capitale investito' dagli elementi che contribuiscono a formare la tariffa pagata dai cittadini per la fornitura dei servizi di distribuzione dell'acqua, di depurazione e di fognatura. Restano ferme le altre componenti della tariffa idrica previste dal primo comma dell'articolo 154 del decreto legislativo 152/2006 (codice ambientale).
Oggi l'adeguata remunerazione del capitale, che copre l'ammortamento degli investimenti al lordo dei costi finanziari del debito, è fissata al 7%. Difficile che passi la linea interpretativa dell'ala più estrema dei promotori referendari, quella che vorrebbe il finanziamento con contributo pubblico a fondo perduto per tutti gli investimenti (pianificati in 64 miliardi per i prossimi trenta anni).
Sarà quindi necessaria una nuova legge per capire se e quanto si debba remunerare il capitale investito: dovrà stabilire criteri diversi da quelli di oggi, ma senza banche e capitali privati esiste solo lo Stato. E lo Stato oggi non ha risorse per finanziare questi investimenti. Il rischio è quello di ridimensionare notevolmente i programmi che prevedono lavori per ridurre le perdite nella rete acquedottistica e per realizzare gli impianti di depurazione necessari per adeguarci agli standard europei.
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