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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2011 alle ore 19:54.

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(Foto Ironman 70.3 Italy/Iacone/Rinaldi)(Foto Ironman 70.3 Italy/Iacone/Rinaldi)

Mezzogiorno di fuoco, domenica. A Pescara, sulla riviera davanti alla fontana di Cascella, tra stabilimenti balneari, bimbi e ghiaccioli, la spiaggia, gli ombrelloni e il sole cocente una strana tribù: 1.365 atleti, provenienti da 49 paesi, pronti al via per il primo Ironman 70.3 italiano. Una gara di triathlon internazionale che si svolge per la prima volta in Italia. Una sfida estrema, da matti: 1,9 chilometri a nuoto in mare, seguiti da 90 km in bicicletta tra le colline della provincia, con 900 metri di dislivello da superare e una mezza maratona di corsa (21,1 km) per finire.

Sono tra i matti che tra qualche minuto si getterà in acqua. Il mio obiettivo: finire la gara, non morire d'infarto e tagliare il traguardo, in qualche modo, entro le 8 ore: il tempo limite oltre il quale pende la scure della squalifica. Come dire: tutto questo "mazzo" per niente. Difficile da accettare. Tutto è pronto. Tutti sono pronti. La bici da corsa, con tutto quello che serve per le altre frazioni di corsa è preparata con precisione religiosa - ognuno ha fatto lo stesso - nel box recintato: il numero con l'elastico da indossare dopo, appeso al manubrio, il casco, le scarpe da ciclismo, gli occhiali, i calzini e le scarpe da running. Niente altro. Solo cuore e tanta voglia di farcela.

La moquette blu copre tutto il box dove sono stipate le bici - preparato dal giorno prima con un'organizzazione meticolosa, non per niente tedesca - e arriva fino alla spiaggia. Fino al sole. E noi siamo pronti. Il tempo sembra non passare mai. Sotto il sole di mezzogiorno a cuocere tra la gomma sulla pelle e la paura della gara. Si nuota con una muta, gli occhiali da piscina e una cuffia di colore diverso, a seconda delle categorie: cuffia nera per i 33 professionisti che partono prima, color argento le donne, giallo gli atleti da 18 a 25 anni, verde quelli sopra i trent'anni, blu e verde gli over 35 e over 40, cuffia rossa, la mia per gli over 45 (l'ultima quella "degli anziani") e arancio quella di chi gareggerà con la staffetta: tre persone che disputano ciascuna una frazione. Tra le varie squadre della staffetta, dai nomi più o meno fantasiosi (Cinghiali dell'Adriatico, Hic Sunt Leones, Sport & Cazzeggio) o istituzionali (Vigili del fuoco di Milano, Polizia municipale di Pescara), spicca quella di Radio Dj: Alex Farolfi (nuoto) Pasquale Di Molfetta alias Linus (bici) e Nicola Savino (corsa).

L'Ironman è una gara di triathlon estrema. È nato nel 1978. Durante la premiazione di una gara di corsa alle Hawaii, tra tre marines ubriachi, narra la leggenda. Si discuteva di quale fosse la disciplina sportiva più dura in assoluta. Uno dei tre, John Collins, propose una nuova forma di gara che fosse il risultato di 3 gare già esistenti e note per la loro durezza: la Waikiki Roughwater, 2,4 miglia di nuoto più la Around Oahu Bike Race con 112 miglia in bici e la Honololu marathon con 26,6 miglia di corsa. Il primo che avesse portato a termine la estenuante prova sarebbe stato eletto Ironman, uomo d'acciaio. Al primo Ironman della storia, che si disputò il 18 febbraio dello stesso anno, si iscrissero in 15 atleti. Solo dodici giunsero in fondo. Oggi in tutto il mondo si contano 25 Ironman, il più famoso è la finale annuale, a Kowa, nelle Hawaii, dove questa pazza sfida sportiva ha avuto origine.

La distanza Ironman prevede 3,8 km di nuoto, 180 in bici e 42,2 km di corsa. Questa, il 70.3, è il mezzo Ironman. Ed è la prima volta che si svolge in Italia. Comunque, sono pur sempre 1,9 km di nuoto, 90 di bici e 21 a piedi. E, vi assicuro, a pochi minuti dalla partenza non sono sicuro di farcela nonostante i lunghi mesi di preparazione, i sacrifici e le motivazioni da trovare quando non c'è voglia, tra il lavoro, la stanchezza, la famiglia, le cose da fare di corsa che tutti più o meno facciamo come trottole, giorno dopo giorno. Mi chiedo chi me lo faccia fare. Il microfono che gracchia mi riporta alla dura realtà: tra 3 minuti partono i Pro. Un inglese con la faccia simpatica mi dà appuntamento all'arrivo per una birra. Al tramonto.

Non c'è più tempo per pensare. Si parte, bang, di corsa tutti in mare. Un tuffo, l'acqua, neanche il tempo di sentirla e poi la frazione di nuoto, una boa dietro l'altra a raggiungere l'ultima, vicino al porto di Pescara, gialla enorme, lontanissima. Si nuota in gruppo uno accanto all'altro, di lena, senza fermarsi mai, tra le onde alte del mare di oggi, le manate e le piedate che in gruppo arrivano. Nessuno ci fa caso più di tanto. E neanche io. Neanche quando uno mi ferma con una botta in testa. Riparto fino alla boa e poi torno indietro. Alle prime bracciate del ritorno mi scontro con uno che sta ancora arrivando e che ha sbagliato direzione. Lo colpisco anche io involontariamente. Gli chiedo scusa. Ci guardiamo per un istante e poi ancora sotto.

Tra le onde, il mare, le canoe dei giudici e questo tratto che non sembra finire mai. Con il fiato grosso. Nuoto a stile libero. Prendendo aria ogni due bracciate e a volte ogni quattro per evitare di prendere troppe botte a destra e manca. Finalmente la riva. La cosa pazzesca di questo sport è che è senza soste. Si comincia a correre già dall'acqua e mentre lo facciamo saltellando tra gli schizzi e gli applausi della folla stipata dietro le transenne e la moquette blu, cominciamo tutti a aprire la muta da nuoto (ha una chiusura lampo sulla schiena. Non sempre si apre al primo colpo. In un'altra gara di triathlon breve sono rimasto 5 minuti fermo con i giudici di gara che cercavano di aiutarmi perché la chiusura lampo non veniva giù). Questa volta va. Al primo colpo. Di corsa nel box con la bici. Sono le 13. Tra nuoto e cambio ho impiegato una quarantina di minuti. Meglio del previsto (mi ero dato come obiettivo un'ora).

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