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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2011 alle ore 09:45.
L'ultima modifica è del 17 giugno 2011 alle ore 10:01.

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Le istituzioni politiche ed economiche di quella che oggi è l'Unione europea sono state disegnate da élite politiche e tecnocratiche il cui obiettivo finale era la costruzione di una nuova entità federale, gli Stati Uniti d'Europa, ma che erano costrette a procedere con cautela perché l'opinione pubblica di alcuni Paesi-chiave (e i Governi di altri, soprattutto la Gran Bretagna) non condivideva affatto questo loro progetto.

È per questa necessità di compromesso che tanti aspetti della governance europea appaiono mal disegnati . E dalla stessa necessità nacque la strategia di "unificazione strisciante", che consisteva in varare iniziative di cooperazione apparentemente solo economica ma la cui vera finalità era di creare la necessità di ulteriori trasferimenti di sovranità politica dagli Stati all'Unione.

L'Unione monetaria fu il culmine della strategia di unificazione strisciante e, come vediamo in questi giorni, anche un chiaro esempio delle patologie che emergono quando le istituzioni sono disegnate sotto eccessivi vincoli di vendibilità politica nei confronti di un'opinione pubblica sospettosa.

Ai tecnocrati che disegnavano l'Euro molti chiedevano cosa avrebbe fatto la nascitura Banca centrale europea se qualche Stato membro, dopo aver accumulato debiti eccessivi, fosse abbandonato dai mercati. La risposta che essi diedero con il Trattato di Maastricht fu che, in primis, l'accumulo eccessivo di debito non sarebbe potuto avvenire grazie al "patto di stabilità" che limitava il deficit dei Paesi membri al 3 per cento del Pil ( e anche grazie al fatto che sicuramente l'avvento dell'Euro avrebbe condotto a una nuova età dell'oro con alti tassi di crescita economica, favorendo così il contenimento del rapporto debito/Pil negli stati membri); e che, in secundis, la Bce, e le altre entità afferenti all'Unione avevano la proibizione assoluta di soccorrere singoli Paesi membri in difficoltà a finanziarsi sui mercati dei capitali (la sbandieratissima "no bail-out clause").

Sappiamo bene oggi, con almeno un Paese euro insolvente, e prontamente "bailed-out" dalla Bce, cosa valessero queste solenni promesse (e, con Paesi che non crescono da dieci anni, quale età dell'oro l'Euro abbia creato).

E c'è da chiedersi quanti fra coloro che scrissero e sottoscrissero il trattato ci credessero veramente, e quanto al contrario avessero come principale scopo di aggirare l'opposizione di coloro che, forse a ragione, vedevano nell'Euro solo un preludio a ulteriori tentativi di sottrarre sovranità agli Stati e trasferirla all'Unione. Forse a ragione, dico, perché puntualmente cominciano a levarsi autorevoli voci, prima fra tutte quella del presidente della Bce Trichet, che invocano la creazione di un "ministro delle Finanze europeo".

La lezione che ci si chiede oggi di apprendere è che non si può avere unione monetaria senza unificazione (coordinamento, se la parola unificazione vi allarma) delle finanze pubbliche. Non è difficile immaginare la lezione che ci verrà proposta domani: che non ha senso avere un ministro delle Finanze europeo senza un primo ministro europeo. E così via, inesorabilmente, verso la piena unificazione politica.

C'è da sperare che l'opinione pubblica europea abbia esaurito la sua pazienza verso questo modo di costruire l'Europa unita: fare un piccolo passo, che crea dei problemi che devono essere risolti da un ulteriore passo, e così via. Sarebbe l'ora di avere una discussione trasparente e onesto in cui l'esito finale di questo processo è chiaramente delineato.

Nel frattempo varrebbe anche la pena esaminare con più attenzione la proposizione secondo cui la crisi dimostra che l'unione monetaria non può funzionare senza unione fiscale. Probabilmente è vero ma le ragioni addotte sono, come sempre con le proposte di nuove istituzioni europee, altamente fuorvianti. Si dice che un ministro delle Finanze europeo è necessario per forzare comportamenti fiscali più responsabili nei Paesi membri. Non si spiega però perché tale ministro delle Finanze dovrebbe avere successo là dove il patto di stabilità ha fallito, o perché dovrebbe essere più intransigente della Bce nel rifiutare di dare soccorso ai Paesi insolventi.

La verità inconfessabile è che l'unione fiscale è necessaria per creare un meccanismo permanente di trasferimento dai Paesi che crescono a quelli che, per ragioni strutturali e politiche, non sono in grado di crescere, almeno fino a che sono parte dell'Unione monetaria. Come molti hanno già notato, anche se i debiti della Grecia venissero cancellati resterebbe un gigantesco disavanzo che non si vede come questo Paese possa colmare. Una soluzione è che il disavanzo lo copra sistematicamente l'Unione. L'unione fiscale europea sarà dunque una versione in grande del rapporto fra Nord e Sud d'Italia. Chi è tentato dalla proposta di Trichet si chieda se questo è un bel modello per l'Europa di domani.
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