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Questo articolo è stato pubblicato il 18 giugno 2011 alle ore 10:54.
L'ultima modifica è del 18 giugno 2011 alle ore 10:55.

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La verità di Pontida si annuncia cangiante, difficile da afferrare. Per certi aspetti ha ragione Berlusconi e i vertici del Pdl quando si dicono certi che la giornata di domani non segnerà la fine dell'alleanza. Bossi accenderà gli animi delle migliaia di militanti attesi sul pratone (nonostante le previsioni di pioggia), ma al dunque - si suppone - non pronuncerà parole definitive. Lo stesso attivismo leghista delle ultime ore, dai toni duri sulla Libia all'intransigenza contro gli immigrati clandestini, dimostra l'intenzione non di rompere, ma di avere argomenti per arginare il malcontento della base.
È possibile che vada così. Con la conseguenza di rendere indolore il passaggio della «verifica» in Parlamento e di aprire la strada verso la pausa estiva, in un quadro di minori tensioni nella maggioranza. Ma questa è solo una parte della verità, figlia peraltro del rapporto tuttora solido fra Bossi e Berlusconi. L'altra parte riguarda le contraddizioni di fondo che logorano il governo in forme sempre più evidenti. Sono contraddizioni, diciamo così, di natura strategica: toccano in primo luogo un partito, il Carroccio, che ormai è a disagio in una cornice di alleanze che ha dato troppo poco rispetto alle attese alimentate negli anni.

Lo stesso federalismo è ancora un oggetto misterioso e non si sa quando riuscirà a migliorare la qualità della vita nelle regioni settentrionali (le uniche che interessano alla Lega). E poi c'è il senso di angoscia indotto dai 40 miliardi di euro che l'Unione esige siano risparmiati entro il 2014. Tutti, sia pure confusamente, si rendono conto che il momento è drammatico. E che si sta aprendo un fossato fra la debolezza del premier e le esigenze del paese. Nella Lega in tanti sono convinti che l'attuale governo è, se non proprio morto, certo malato al punto da esser prigioniero della sua sostanziale paralisi. La stessa inchiesta che ha investito Palazzo Chigi come un'onda anomala viene vista come il segno che un'epoca si sta concludendo. E si conclude all'italiana, con i magistrati alla porta.

Allora può essere che la domenica di Pontida non coincida con il giorno del giudizio. Ma la prospettiva a breve resta oscura. La manovra economica a cui il ministro Tremonti si accinge richiederebbe un quadro politico molto forte e determinato. Anche una leadership adeguata. Ma non c'è nulla di questo. E ci si balocca invece con un'idea di riforma fiscale per la quale evidentemente non ci sono le risorse e che accenderebbe i sospetti dell'Europa. Una riforma che sarebbe figlia solo del disperato bisogno di recuperare consensi da parte di Pdl e Lega. Non si vede perché il ministro dell'Economia dovrebbe percorrere un simile sentiero, considerando che la sua credibilità dipende dal rapporto con l'Europa piuttosto che dai compromessi romani.

Conclusione. Se anche Berlusconi domani sopravvive agli strali di Pontida, ed è probabile che accada, la crisi resta virtualmente aperta. E l'autunno si annuncia gravido di rischi. I problemi richiederebbero una coesione staordinaria per essere affrontati. Ma nessuno la vede. Ecco perché il presidente della Repubblica ha ricordato ai partiti che si può e anzi si deve essere politicamente distinti. Ma che questo non dovrebbe impedire di «lavorare insieme» per il bene comune. Come dire: non c'è bisogno di un super-governo di larghe intese per affrontare con spirito concorde i nodi di fondo. Tutti li vedono, quei nodi. Ma dov'è il senso di responsabilità nazionale?

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