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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2011 alle ore 10:12.
L'ultima modifica è del 21 giugno 2011 alle ore 10:13.

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Il Paese è un leopardo spelacchiato dal passo fiacco: potrebbe essere velocissimo, ma ha troppa zavorra per correre. Questo indicano le statistiche Istat su commercio internazionale e fatturato di aprile. Certo, le esportazioni crescono in valore e in volume e le vendite soprattutto all'estero aumentano, ma il nostro saldo commerciale continua a peggiorare. Se tracciaste due linee su un grafico, una che rappresenti il valore delle nostre vendite all'estero e l'altra quelle delle importazioni, vedreste che in aprile del 2010 si sovrapponevano e che invece mese dopo mese nel corso di un anno la loro distanza si è allargata, con purtroppo le seconde che stanno al di sopra delle prime: insomma l'export corre ma non quanto l'import. Parte del problema è ovviamente l'aumento del prezzo delle materie prime: la crescita in valore delle importazioni dei soli prodotti energetici è stato in un anno del 37% e il saldo, al netto di questi beni, è ancora positivo. Ma a ben guardare il nodo non è tutto qui: i dati riflettono piuttosto problemi strutturali, la perdita di competitività del nostro sistema produttivo, il passo fiacco del leopardo. Intanto il divario negativo delle partite commerciali è anche trainato dai volumi: i quantitativi di beni importati sono saliti dell'8,3% contro il 4,3% dei beni esportati.

Certo l'euro è forte, ma l'aumento dei prezzi dei beni primari di cui noi siamo importatori netti avrebbe dovuto scoraggiare gli acquisti di beni dall'estero. Evidentemente, depurato l'effetto energia, le famiglie e le imprese italiane stanno mutando la composizione dei beni che acquistano, favorendo i prodotti importati rispetto a quelli domestici. Ciò è chiaro per le famiglie: gli acquisti dall'estero sono cresciuti nonostante le vendite al dettaglio nel Paese siano arretrate del 2% in un anno. L'aumento delle importazioni in un Paese che cresce è il segno di un'economia vigorosa. In un Paese che stagna indica invece la perdita di competitività del sistema produttivo. E infatti il fatturato domestico dell'industria continua ad avere una dinamica rallentata. Cresce dopo i crolli del 2009, ma a passo lento ed è ancora lontano dai livelli del 2007.

L'effetto composizione è ancora più evidente per le imprese. Infatti aumentano molto gli acquisti di beni intermedi, utilizzati dalle aziende come input produttivi. Qui le importazioni sono cresciute in volume nell'anno del 12,1%, dieci punti più delle esportazioni. Cosa ci dice questo dato? In sostanza che il processo produttivo tende ad essere più frammentato globalmente e a spostarsi all'estero. Si rafforzano le catene globali di produzione, e le imprese comprano input o producono componenti e semilavorati all'estero. Questa può essere anche una buona notizia, se implica una trasformazione del nostro sistema produttivo verso produzioni a più alto valore aggiunto e un rafforzamento della nostra competitività. Non lo è, se invece è solo il risultato di perdita di capacità produttiva. In effetti la dispersione geografica della produzione pone oggi vincoli di competitività drammatici, non solo alle aziende, ma soprattutto ai territori dove esse operano. E come ben sappiamo il contesto competitivo italiano non è certo il migliore sul mercato.

Su questo fronte i dati del commercio ci danno anche delle indicazioni positive soprattutto per il miglioramento della nostra performance nei beni strumentali, le macchine, sempre più sofisticate, che servono a produrre. Le nostre esportazioni sono cresciute del 17% nell'anno e sono aumentate sia in quantità che in valori unitari, il che implica anche un upgrading della qualità. Anche il fatturato cresce nell'anno più che in altri comparti. Questo è chiaramente un settore dove riusciamo a mantenere un saldo nettamente positivo.
La performance dei beni strumentali ci ricorda come il nostro Paese possa fare concorrenza oggi solo sulla base di fattori non di prezzo: qualità, innovazione, tecnologia e marchi. Ma anche che la nostra competitività è a macchia di leopardo. Appunto, un leopardo dal manto spelacchiato, troppo fiacco per correre. L'eccellenza di alcuni settori o di molte imprese straordinarie affoga in dati medi stagnanti. Il problema è che i nostri campioni non sono abbastanza per invertire il trend generale del Paese. Per poter competere in mercati lontani con tecnologie sempre più sofisticate, abbiamo bisogno invece di averne di più. Solo così il leopardo può cambiar pelo e ritrovare energia e passo veloce.

barba@unimi.it

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