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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2011 alle ore 08:24.
L'ultima modifica è del 23 giugno 2011 alle ore 06:36.

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Caro direttore, abbiamo apprezzato l'appello lanciato dal Sole 24 Ore sulla necessità di aprire una nuova stagione nelle relazioni industriali all'insegna della partecipazione e della condivisione degli obiettivi.
La Cisl da tempo ha fatto sua questa esigenza, tanto più urgente in una fase difficile della vita del Paese in cui le parti sociali sono chiamate a coprire, purtroppo, i vuoti evidenti della politica. È giusto: «Ognuno faccia la sua parte e non si sottragga alla quota di responsabilità che gli appartiene».

Per competere e fare qualità, dobbiamo abbandonare l'antagonismo ideologico e il conflitto fine a se stesso.
È indubbio che l'intesa del 2009 tra Confindustria e le associazioni sindacali sulla riforma dei contratti ha aperto uno scenario nuovo dopo anni di immobilismo tattico, divisioni ideologiche, sterili ultimatum e, persino, veti incrociati.

Tutti ormai convengono che il contratto nazionale deve restare una grande "cornice" normativa di garanzia dei diritti e della tenuta del salario e degli stipendi rispetto all'erosione dell'inflazione. Mentre toccherà al secondo livello, aziendale o in alternativa territoriale, portare più soldi nelle buste paga, superando la teoria di un salario a "prescindere" dai risultati aziendali. Il baricentro della contrattazione e delle relazioni sindacali si sposta, dunque, nelle aziende e nei territori, laddove si produce ricchezza. È una ricetta che vale sia per le aree dinamiche del Nord, sia per il rilancio produttivo del Mezzogiorno.

Le imprese possono produrre meglio e di più. E i lavoratori possono lavorare meglio ed essere pagati di più. Questa è la sfida che noi della Cisl abbiamo accettato.
E non insisteremo mai abbastanza sul fatto che la contrattazione integrativa aziendale o territoriale sarà ancora più efficace, se sostenuta da una coerente politica fiscale e contributiva, vantaggiosa sia per i lavoratori, sia per le aziende (con la riduzione del costo del lavoro). La possibilità di articolare la contrattazione di secondo livello può diventare un fattore determinante anche in occasione di scelte strategiche delle imprese, come ad esempio importanti investimenti, localizzazioni produttive, processi di innovazione tecnologica e organizzativa, superamento di condizioni di crisi. Può rappresentare, in alcuni casi, un'alternativa a processi di delocalizzazione e può divenire un elemento importante di attrazione di nuovi investimenti, anche dall'estero.

A livello aziendale si potranno anche affrontare temi poco agibili nei contratti collettivi nazionali, come l'aderenza delle figure professionali al loro lavoro effettivo, la formazione, il confronto con le regole contrattuali di imprese concorrenti, la stabilizzazione di lavoratori precari.
Fin dal lontano 1997 le "deroghe" al contratto nazionale furono consigliate da Gino Giugni nel rapporto sull'attuazione dell'accordo del 1993, come necessità imprescindibili per salvaguardare il contratto nazionale, rendendolo più elastico per fare fronte ai cambiamenti economici e sociali in atto, in particolare per poter favorire nuovi investimenti o in situazioni di emergenza. E in questa chiave in molti Paesi europei, (fra tutti spicca la Germania) esse sono state introdotte.

È davvero difficile vedere in tutto questo lo smantellamento del contratto nazionale, come sostiene la Cgil.
Riteniamo che ciò non sia possibile, per varie ragioni. La prima è la grande diffusione d'imprese piccole e microimprese, per le quali è impensabile che la sola contrattazione aziendale fornisca una rete di garanzie sufficienti; la seconda è che in settori come il terziario, che rappresenta la maggioranza degli occupati, il secondo livello è ancora poco diffuso, e il contratto nazionale rappresenta un elemento importante di regolazione dei rapporti di lavoro.

La contrattazione, in particolare quella decentrata è, infatti, un processo sociale volontario, che va responsabilmente guidato e stimolato dagli attori delle relazioni industriali, rimettendo in discussione incrostazioni ideologiche e abitudini consolidate. Ecco perché è indispensabile anche stabilire regole certe sulla certificazione degli iscritti e sulla rappresentanza, per consolidare l'assetto democratico delle relazioni industriali. La Cisl non si sottrarrà all'esigenza di assicurare regole condivise sui temi della rappresentanza dei lavoratori e dei diritti sindacali. Ma non accetteremo vie populistiche o "scorciatoie" che mirano a far saltare il principio dell'associazionismo sindacale.

Raffaele Bonanni
Segretario generale Cisl
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