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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2011 alle ore 10:03.
L'ultima modifica è del 25 giugno 2011 alle ore 08:10.

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Narrano le leggende bancocentrali che quando nel 1959 Fidel Castro nominò Che Guevara governatore della Banca centrale cubana la nomina fu frutto di un malinteso nel senso letterale della parola: in una riunione confusa e rumorosa i ribelli vittoriosi dovevano decidere cariche e ministri, e qualcuno disse che per la Banca centrale ci voleva un economista; solo che nel baccano generale Che Guevara capì che ci voleva un comunista", alzò la mano, e la nomina fu approvata per acclamazione.
La procedura che ha portato Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea è stata certamente meno sbrigativa di quella ma i tumulti della storia non sono da meno. Mervyin King - il governatore della Bank of England - disse che «l'obiettivo delle banche centrali dovrebbe essere quello di rendere la politica monetaria il più noiosa possibile». Un'aspirazione che da un paio di anni almeno non è stata esaudita. Le banche centrali si sono trovate nell'occhio del ciclone e hanno dovuto stracciare i manuali d'istruzioni che compulsavano in tempi tranquilli.

Si sono inventate altri strumenti d'intervento, hanno preso meritori rischi con una massiccia creazione di base monetaria, hanno insomma fatto "di tutto e di più" sotto quelle luci dei riflettori cui non erano certamente abituate. E oggi?
Oggi le sfide che Fed e Bce si trovano ad affrontare sono molto diverse da quelle dei tempi passati. Le "fatiche d'Ercole" sono almeno due: la nuova architettura del sistema finanziario internazionale e la crisi dei debiti sovrani.
La crisi del 2008, i cui strascichi non sono finiti, ha portato alla luce quei crudi nessi fra finanza ed economia che non avevano ricevuto sufficiente attenzione dalla teoria e dalla pratica della politica economica. C'è un immenso campo di intervento che si apre per le autorità monetarie - Governi e Banche centrali - nel ripensare gli strumenti di governance di un sistema finanziario magmatico e innovativo, che si sottrae all'abbraccio della regolazione e ama giocare con i candelotti del rischio.

Su questo punto cruciale del post-crisi Mario Draghi offre competenze ed esperienze senza paralleli, essendo passato dalle varie parti della barricata: come grand commis al ministero del Tesoro, come dirigente della Goldman Sachs, come Governatore della Banca d'Italia e come presidente del Financial Stability Board. Naturalmente, l'architettura non basta. C'è un segreto di cui gli addetti ai lavori non parlano volentieri per quanto riguarda la regolazione finanziaria. E il segreto è questo: quelle disfunzioni che hanno portato alla più forte recessione del dopoguerra avrebbero potuto essere evitate se i regolatori avessero applicato le regole esistenti con severità e flessibilità, esercitando i margini di discrezionalità che le regole consentivano. Insomma, non è stata la mancanza di regole a scatenare quella crisi finanziaria che è poi sfociata in crisi reale. Questo non vuol dire che una nuova architettura sia inutile. Anzi, è utilissima per "legare le mani" ai regolatori; ma anche qui la variabile cruciale starà nel modo in cui le regole vengono applicate e fatte rispettare, ed è questa una "sfida nella sfida" che la Banca centrale deve affrontare.

Il secondo cimento sta nella crisi dei debiti sovrani. Riguarda anche la Fed, ma è per la Bce che questa crisi assume volto di sfida istituzionale. Una tensione fra Governi e Banche centrali è sempre esistita: dopotutto i Governi si sono spogliati di una grossa fetta di sovranità affidando la creazione di moneta a organismi tecnici non eletti. Un esito corretto che l'Einaudi ventenne, come ricordò Carlo Azeglio Ciampi, aveva auspicato già alla fine del XIX° secolo: «Se la federazione europea toglierà ai singoli Stati federati la possibilità di ... far gemere il torchio dei biglietti ... avrà, per ciò solo, compiuto opera grande». Ma alla fisiologica tensione si è oggi aggiunta un'altra dimensione, legata alla peculiare situazione della Bce, che è la Banca centrale di 17 Stati. Nessuna Banca centrale può guardare con indifferenza alla bancarotta dello Stato in cui opera. Ma se gli Stati sono 17?

Come curare, come prevenire, come finanziare l'illiquidità, come evitare l'insolvenza? Come si sa, la Bce è fermamente contraria alla ristrutturazione (leggi fallimento) del debito greco, ma deve navigare un mare agitato dalla ritrosia degli altri Stati a farsi ufficiali pagatori dei debiti altrui. E in questo mare naviga l'euro, "che gli ispidi flutti cavalca" (anche se l'euro di cui scriveva Giosuè Carducci era un vento e non una moneta). La partita - una partita mai giocata finora - è aperta. In quel grande laboratorio istituzionale che è l'Unione monetaria è in corso un esperimento cruciale che ridefinirà i poteri e le regole della convivenza europea. Auguri, Presidente.

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