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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2011 alle ore 07:35.
L'ultima modifica è del 28 giugno 2011 alle ore 09:21.

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Fuori i secondi, da domani si fa sul serio. Dopo la settimana surreale della verifica di governo, tutta giocata sui fantasmi della politica, i prossimi giorni saranno quelli della verità. Della verità per un governo, che è chiamato a dimostrare nei fatti la sua capacità di andare avanti, e per il Paese tutto, che aspetta misure concrete per uscire con più spinta dalle secche della crisi economica.

Una manovra da circa 45 miliardi in quattro anni, la delega fiscale, l'ultimo giro di boa del decreto sviluppo: è un pacchetto di misure sul quale davvero l'Italia si gioca una fetta importante del suo futuro. E il tutto potrebbe essere accompagnato da un tassello non meno importante ai fini dello sviluppo: l'accordo sulla rappresentanza sindacale per rendere davvero esigibili gli accordi in fabbrica.

È un'intesa, quest'ultima, che spetta alle parti sociali. Incontri e contatti della scorsa settimana hanno proficuamente preparato il terreno. Nei prossimi giorni imprese e sindacati torneranno a vedersi e potrebbe davvero essere la volta buona per dare un forte segnale di innovazione al sistema Italia.

Un segnale che anche la politica è chiamata dare, in modo forte e chiaro. È tempo di responsabilità. Non di tatticismi. I recenti interventi delle agenzie di rating hanno dimostrato che non si può aspettare un minuto di più. Serve una manovra vera, fondata su tagli efficaci e verificabili, in modo da rassicurare mercati sempre più inquieti. È vero che i giudizi dei sovrani dei rating sono legati più all'effetto Grecia che a errori di policy italiani, ma solo mostrando la capacità di tagliare deficit e debito come si fece all'inizio degli anni Novanta l'Italia potrà evitare dolorosissimi declassamenti.

Va reso merito, in questo senso, a Giulio Tremonti di aver tenuto con forza la sua posizione rigorista. Ancora venerdì scorso, il premier Silvio Berlusconi aveva fatto intendere, nel contesto europeo in cui si trovava, della possibilità di uno slittamento della manovra per il 2014. Poi l'intervento di Tremonti e la successiva nota di Palazzo Chigi che ribadiva il percorso corretto: tutta la manovra subito, non senza misure per la crescita come le liberalizzazioni, e insieme la delega fiscale. Il tutto nel quadro del pareggio di bilancio nel 2014.

È un percorso virtuoso, quello delineato. E le indiscrezioni che trapelano sulla manovra evidenziano una positiva volontà di intervenire con intelligenza e decisione sulla spesa. Quello che non deve accadere ora, è l'esplodere delle contese tra ministri, tutti pronti a dare battaglia per evitare tagli a carico dei propri dicasteri, magari spostandoli su quelli del vicino. Sarebbe il segnale peggiore che questo governo potrebbe dare.

Accanto alle misure per il rigore, poi, è importante che nella stessa manovra trovino spazio anche misure che possano dare una spinta diretta alla crescita. Le liberalizzazioni, innanzitutto, di cui negli ultimi due anni si è persa traccia: su servizi e professioni, in particolare, è inaccettabile il ritorno al passato al quale stiamo assistendo. Eppoi le semplificazioni che, di annuncio in annuncio, restano un miraggio. Ma soprattutto il fisco.
Qui davvero serve coraggio. Una delega scritta tanto per dare un contentino a chi nella maggioranza, a cominciare dal premier, vuole dare un segnale all'elettorato, sarebbe un'occasione persa.

La riforma del Fisco va fatta davvero. Va fatta seriamente, e non si può limitare a semplificare: bisogna spostare aliquote e tributi dal lavoro e dalla produzione alla ricchezza improduttiva. E appena possibile va ridotta la pressione fiscale complessiva, anche attraverso ulteriori tagli alla spesa corrente.

Tutto in una settimana. Un vasto programmma, si direbbe. Ma è questa la verifica a cui il Governo è chiamato davanti al Paese.

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