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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2011 alle ore 15:30.
L'ultima modifica è del 14 luglio 2011 alle ore 09:36.

Un'obiezione ricorrente a questo tipo di proposta è che imboccheremmo la strada dei trasferimenti fiscali tra Paesi, il che è politicamente improponibile. Ma è un'obiezione fuorviante. Se si accetta la premessa di un forte trasferimento di sovranità economica dai governi nazionali al governo europeo, il rischio di essere chiamati a rimborsare il debito emesso dall'Efsf (o a coprire le perdite della Bce) è minimo. E anche se ciò dovesse accadere, l'insolvenza sarebbe attribuibile ad errori delle autorità europee e non più del singolo Paese. In altre parole, garanzie e solidarietà, a fronte però di adeguati strumenti di governo a livello centrale. L'obiezione vera a questa impostazione non è che porterebbe a inaccettabili trasferimenti tra Stati sovrani, bensì che comporterebbe la rinuncia ad alcuni aspetti importanti di sovranità economica nazionale. Ma, come stiamo scoprendo a nostre spese, questa rinuncia è diventata inevitabile il giorno che abbiamo deciso di far nascere la moneta unica.
Andrebbe infine affrontata apertamente la questione del mandato della Bce. Oggi la politica monetaria europea, anziché essere di aiuto, rappresenta una parte del problema. Con la motivazione di inseguire il fantasma dell'inflazione, la Bce sta gradualmente facendo salire i tassi di interesse - come se la crisi finanziaria riguardasse un'altra parte del mondo. Ma un po' di inflazione oggi, più che essere un pericolo, sarebbe una benedizione, perché contribuirebbe ad abbattere il peso del debito. Inoltre una politica monetaria meno espansiva che in altri Paesi spinge il cambio ad apprezzarsi. Se l'euro fosse vicino alla parità con il dollaro, forse anche i problemi di stagnazione di una parte rilevante dell'Europa sarebbero meno formidabili di come appaiono, e sarebbe più facile ridare fiducia ai mercati.
Ormai non c'è dubbio che la crisi del debito sovrano nell'area euro ha raggiunto dimensioni sistemiche. La questione non riguarda più il singolo Paese, ma le fondamenta su cui l'Unione economica e monetaria europea è stata costruita. Per sopravvivere, queste fondamenta vanno modificate, e ciò va fatto ora, non tra qualche anno. Se i Paesi europei non sono pronti a imboccare la strada di una maggiore integrazione dei meccanismi di governo economico e a rivedere alcune impostazioni sbagliate, non illudiamoci che l'approccio seguito finora, delle pezze messe di volta in volta per prendere tempo, possa riportare la fiducia.
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