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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2011 alle ore 07:53.

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di Stefano Folli
È famosa l'ironica frase di Bertolt Brecht secondo cui «se il comunismo non va bene per il popolo, bisogna cambiare il popolo». Ieri pomeriggio in Parlamento c'è stato un momento in cui il presidente del Consiglio è sembrato echeggiare Brecht. Ha quasi detto in sostanza: se i mercati non vanno bene per l'Italia, bisogna cambiare i mercati. Questo perché il nostro sistema è solido e affidabile; e chissà perché i mercati non se ne rendono conto. Del resto, ha aggiunto il segretario del Pdl, Angelino Alfano, sulla stessa lunghezza d'onda, non sono i mercati che possono fare o disfare i governi.

Principio giusto, ma allora non si capisce per quale ragione il discorso del premier sia stato rinviato di qualche ora, fino a farlo coincidere con la chiusura delle Borse. Segno che il punto di vista dei mercati, come sappiamo bene, è molto rilevante in questo frangente della nostra vita nazionale. Per l'ottima ragione che i mercati sono padroni del nostro debito pubblico e ne determinano in buona misura le prospettive. Se così non fosse, non avremmo necessità di contare ogni giorno i punti di 'spread'.

Sarà quindi vero che «la crisi è planetaria», come afferma il premier. Ma non la si può paragonare a una grandinata che prima o poi finisce e comunque poco ci preoccupa perchè noi disponiamo di un buon ombrello. La verità è più drammatica, come è ovvio. Ed è proprio questa urgenza della realtà che non si è avvertita a sufficienza nel discorso del presidente del Consiglio. Sotto questo aspetto si può parlare di un'occasione mancata. Troppo ottimismo di maniera, troppi riferimenti generici alle riforme (le eterne riforme sempre invocate e mai attuate), in due parole troppa retorica e poco «pathos».

Corretto il richiamo al presidente della Repubblica e alla coesione nazionale. Ma sarebbe stato necessario che Berlusconi parlasse come interprete e punto di riferimento politico di questa coesione. Facendo appello alla ragione, ma anche alle emozioni del Parlamento. Sforzandosi di riunire il Paese, al di là delle frasi di circostanza. Così non è stato e forse sarebbe stato pretendere troppo. Per la verità la situazione non è migliorata con il seguito del dibattito di Montecitorio. Davvero singolare, ad esempio, l'attacco del leghista Reguzzoni al Quirinale per via delle auto blu. Un po' convenzionale l'intervento di Bersani, con la rituale richiesta di dimissioni. Prevedibile Di Pietro. Meglio Casini che almeno ha fatto riferimenti concreti a ciò che il governo dovrebbe fare e a quel che un'opposizione responsabile dovrebbe chiedere.

Per riassumere. Il discorso del premier è apparso incongruo nel tono e poco convincente nei contenuti. Invece di alzare il livello del confronto e di parlare a nome di un Paese sofferente, Berlusconi è sembrato preoccupato soprattutto di spazzare via il fantasma del governo «tecnico», riaffermando la granitica volontà di arrivare alla scadenza del 2013. Intento lodevole se la stabilità coincidesse con l'efficienza e la credibilità dell'esecutivo. Se viceversa la stabilità mascherasse l'immobilismo e la mancanza di scelte, allora sarebbe una ricetta persino insidiosa in tempi di turbolenza internazionale.

Detto questo, occorre essere pragmatici. Il premier non ha annunciato l'anticipo della manovra triennale, come sarebbe stato opportuno proprio per dare un segnale di forza ai famosi mercati. Tuttavia non l'ha nemmeno escluso. Anzi, una frase un po' criptica nel suo intervento lascia immaginare che questo intervento potrebbe anche realizzarsi se il quadro finanziario dovesse peggiorare. Allo stesso modo, qualche iniziativa per lo sviluppo e la crescita economica («tema essenziale») potrebbe prendere forma a breve, al di là dei 7 miliardi sbloccati per il Mezzogiorno. I richiami di Berlusconi alle forze sociali e alla necessità del loro coinvolgimento in un «piano immediato» incoraggiano un filo di ottimismo.

Ma capiremo presto se l'impressione è giustificata. L'incontro di oggi con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali è del tutto in grado di definire l'agenda delle cose da fare, se davvero si vuole far respirare il sistema produttivo. S'intende però che avrà un senso solo se i fatti seguiranno in tempi molto rapidi. Il governo ha gli strumenti per operare con urgenza. Sia che si tratti di anticipare la manovra, sia che si vogliano attuare provvedimenti fiscali o altro utili alle imprese.

C'è questa volontà? Esiste sufficiente massa critica politica per dar luogo a decisioni convincenti? Lo vedremo nel giro di poche ore.
Se giudicassimo solo dal discorso di ieri e dal mediocre dibattito parlamentare, dovremmo concludere che il peggio è dietro l'angolo. Sui mercati e in casa nostra. Ma chissà. Talvolta le notizie positive seguono un percorso tortuoso. Aspettiamo il dialogo di oggi e le misure che forse saranno annunciate. Il giudizio definitivo verrà dopo.

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