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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2011 alle ore 16:25.

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Sempre piu' grave (e imbarazzante) il sequestyro del Savina CaylynSempre piu' grave (e imbarazzante) il sequestyro del Savina Caylyn

Sei mesi dopo il sequestro della petroliera italiana "Savina Caylyn", catturata nell'Oceano Indiano dai pirati somali, la situazione sembra essere ancora in uno stallo imbarazzante per il governo italiano.

Dopo aver negato il via libera al blitz degli incursori della Marina che nei primi giorni del sequestro avrebbero potuto facilmente liberare nave ed equipaggio mentre si trovavano in navigazione verso la costa somala (a ben 900 miglia dal punto del sequestro), la Difesa ha reso noto che invierà il cacciatorpediniere Andrea Doria a monitorare da vicino la situazione della "Caylyn" e della motonave "Rosalia D'Amato, abbordata il 21 aprile nel Mare Arabico. Prigionieri sulla petroliera 5 italiani e 17 marinai indiani, sulla motonave sono invece presenti 22 uomini d'equipaggio sei dei quali italiani.

Il cacciatorpediniere Doria, finora assegnato all'operazione anti pirateria della Nato (Ocean Shield), è ora passato sotto il comando nazionale anche se un intervento di forza potrebbe essere deciso "solo se ci fossero concreti segnali di pericolo per l'incolumità dei membri dell'equipaggio'' come ha dichiarato il ministro Ignazio La Russa al quotidiano "Il Mattino".

A ravvivare l'interesse per la vicenda, che la richiesta di silenzio stampa dei ministeri di Esteri e Difesa ha cercato in questi mesi di mantenere a basso profilo, ha provveduto la pubblicazione (sempre sul Mattino) di cinque foto-choc dei membri dell'equipaggio legati e con i mitra puntati addosso dai sequestratori, forse minorenni, volto coperto dalla kefiah e cartucciera intorno al collo. Il 16 giugno Nunzia Nappa, moglie del comandante della petroliera ''Savina Caylyn'', Giuseppe Lubrano Lavadera, ricevette una telefonata del marito che la informava della minaccia dei sequestratori di decapitare uno degli ostaggi se le richiesta di riscatto non fosse stata esaudita. Secondo fonti citate Massimo Alberizzi sul "Corriere della sera" i pirati avrebbero chiesto un riscatto iniziale di 20 milioni di dollari poi scese a 14 contro i 7,5 offerti dagli armatori, la società Fratelli D'Amato.

Un interprete che lavora per i pirati ha detto che i fuorilegge non vogliono più avere a che fare con il mediatore noto come ‘Riccardo'. "Dicono che li ha presi in giro e non trattano più sui soldi: 14 milioni" ha dichiarato il somalo. Lo sconforto per la rottura delle trattative deprime gli ostaggi

In un'altra telefonata il comandante Lavadera ha detto che "mangiamo un pugno di riso al giorno e qualche volta di fagioli, l'acqua scarseggia e non ci laviamo da tre mesi. Siamo disperati, fate qualcosa. Tutti ci hanno abbandonato".

La petroliera sarebbe assicurata per 150 milioni di euro ma non contro il rischio pirateria e secondo quanto riferito dal comandante le pessime condizioni dell'unica àncora utilizzabile minacciano di far andare la nave alla deriva in una zona piena di secche e scogli con il rischio che 86 mila tonnellate di greggio finiscano in mare.

Le opzioni per un blitz militare sono tutte ad alto rischio. Un attacco degli incursori della Marina teso a liberare gli ostaggi potrebbe scatenare una sanguinosa battaglia anche perché è probabile che molti accessi alla nave siano stati minati. Vantaggiosa potrebbe rivelarsi la minaccia di rappresaglie militari sulla "tortuga" dei pirati per ottenere la liberazione degli ostaggi ma necessiterebbe di forze aeree e anfibie maggiori di quelle presenti sul cacciatorpediniere Doria (anche per incrementare l'effetto deterrente) e soprattutto richiederebbe una determinazione politica che nessun Paese ha finora dimostrato nei confronti della pirateria somala.

Il ministero degli Esteri, attraverso l'Unità di Crisi, fa sapere che è impegnato nel seguire la vicenda del sequestro della petroliera e ha dato vita a due missioni diplomatiche nell'area. L'Inviato Speciale per le Emergenze Umanitarie, Margherita Boniver, si è recata a Gibuti e in Tanzania e il sottosegretario Alfredo Mantica a Mogadiscio e nel Puntland.

Al di là degli impegni di massima non pare che i risultati siano molto incoraggianti. La Farnesina, che anche in passato ha sempre negato il pagamento di riscatti, ha chiesto ai famigliari dei marinai sequestrati di non parlare con i giornalisti ma il silenzio stampa sembra essere più utile a nascondere l'imbarazzo del governo che alla liberazione di navi ed equipaggi. Basti pensare che, come sottolinea Alberizzi, dove i media si occupano delle navi e dei marinai in mano ai pirati i sequestri non durano più di due mesi. Per l'Italia, dove si ordina il silenzio stampa, non meno di sei.

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