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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2011 alle ore 09:16.
L'ultima modifica è del 24 agosto 2011 alle ore 09:17.

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Il quartier generale degli insorti è un edificio slabbrato con vista sul mare della Cirenaica, a 900 chilometri da Tripoli e dal bunker di Bab el-Aziziya, quasi un altro Paese. Fu qui che un avvocato con forti ambizioni politiche - ha rappresentato tra l'altro le famiglie dei prigionieri trucidati nel '96 ad Abu Salim - espresse tempo fa la sua netta opinione su chi potesse diventare il nuovo capo nel dopo Gheddafi.

«Ci saranno cento, mille nuovi raìs» rispose Abdul Hafiz Ghoga, portavoce del Consiglio transitorio, affermando che nella nuova Libia avrebbe comandato la volontà del popolo. Fu ancora più vago quando fu interrogato sui componenti del comitato che dietro le quinte prende le decisioni: 33 membri di cui solo la metà ha un volto, gli altri, spiegò il baffuto Ghoga, mantengono l'anonimato, per ragioni di sicurezza e perché qui il potere ha sempre galleggiato in un alone di mistero quasi morboso. Del resto ci vollero mesi per scoprire che il golpe del 1969 era stato guidato da un oscuro capitano, Gheddafi, la cui voce alla radio era stata riconosciuta solo dai suoi genitori in una tenda della Sirte. L'abile Ghoga però intendeva mascherare una delle principali divisioni dell'opposizione, quella tra laici e islamici, affiorata quando si è trattato di eliminare Abdel Fattah Younis, un ex generale di Gheddafi giustiziato per tradimento all'insaputa del presidente Jalil.

Chi sono i nuovi capi, militari e politici, che potrebbero emergere quando si sarà depositata la polvere della battaglia e dello psicodramma intorno al bunker di Bab el-Aziziya? Gli occidentali lamentano che non ci sono interlocutori affidabili. È vero ma forse si conosce poco la Libia, un Paese con 140 tribù, qualche migliaio di clan e molte sorprese, non sempre piacevoli. Alcune sono però così scontate da apparire incredibili, perché tutte le potenze hanno un "ex" dell'universo Gheddafi da lanciare nella corsa alla leadership. È un vecchio riflesso automatico al quale nessuna diplomazia sfugge: ricordate i successori possibili di Saddam? Uno di questi, Ahmed Chalabi, un finanziere accusato di bancarotta in Giordania, finì per fare l'agente doppio, passando informazioni riservate sia agli Stati Uniti che all'Iran, con impassibile equidistanza.

L'idea di riciclare gli antichi compari del Colonnello può apparire indigeribile ma presenta una certa dose di cinico realismo: chi meglio di loro conosce gli oliati meccanismi della repressione e del consenso? In Libia, a differenza di Tunisia ed Egitto, non ci sono forze armate "neutrali" che si sono sostituite nella transizione a Mubarak e Ben Alì. L'esercito qui è sempre stato un'istituzione vuota, con battaglioni fantasma, per impedire la tentazione di un colpo di stato. Quando è accaduto, negli anni 90, con il piano di golpe della tribù di Abdel Salam Jalloud, i Maghara, Gheddafi ha sacrificato anche il suo braccio destro.

Gli italiani puntano sul vecchio amico di Andreotti, proprio Jalloud, i francesi si sono accaparrati i favori di Bengasi con l'attivismo frenetico di Bernard Henry Levy, gli inglesi si proponevano fino a qualche tempo fa di sfoderare Moussa Koussa uno dei peggiori sicari del regime, con il quale però avevano trattato la liberazione di uno degli stragisti di Lockerbie, gli americani sembrano favorevoli a un ritorno di Idris Senussi, nipote del re detronizzato nel '69, che vorrebbe atterrare a Tripoli con un aereo privato. È chiaro che molti nomi non sono candidati diretti al posto del raìs ma personaggi che possono indirizzare le scelte per influenza personale o tribale.

La cruda realtà è che tenere unito questo Paese è assai complicato. Lo dimostra quanto accade sul terreno. Le colonne dei ribelli di Bengasi sono state sopravanzate nella caduta di Tripoli da quelle berbere e arabe delle montagne di Nafusa e dai combattenti dell'area di Zawiya. Chi prenderà Gheddafi, vivo o morto, avrà dalla sua lo scalpo da esibire al popolo, almeno a quello di una capitale insofferente all'ascesa della gente dei Bengasi. Il Regno unito della Libia fu uno Stato accidentale, creato a misura degli interessi delle potenze come la Gran Bretagna e re Idris diventò un monarca involontario di tutti i libici perché avrebbe voluto essere solo il sovrano della Cireanica. Sotto i bombardamenti della Nato sta nascendo, 60 anni dopo, una Libia con dei raìs dal volto forse ancora sconosciuto: aspettiamo le nuove maschere del potere.

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