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Questo articolo è stato pubblicato il 25 agosto 2011 alle ore 09:23.

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Si spara per un litro di benzina (Reuters)Si spara per un litro di benzina (Reuters)

TRIPOLI - Dove sono i festeggiamenti? Dove le bandiere, la gente sulle strade, i canti e i cortei? Tripoli è una città spettrale. Le arterie che conducono alla capitale, solitamente trafficate, sono deserte. I semafori accesi scattano a vuoto, senza che passi nessuno. Solo i grossi pick-up dei ribelli sfrecciano, spesso in contromano, per non essere colpiti dal fuoco dei cecchini. Qualcuno si ribalta.

Tripoli non appartiene più al raìs. La sorte di Muammar Gheddafi, su cui ieri i leader della rivolta hanno posto una taglia da un milione e seicentomila dollari, è un mistero. Tripoli, ora, è dei ribelli. Un'armata anarchica che qui, nella capitale della Libia, è ancora più eterogenea, e comunque meno disciplinata, di quella in Cirenaica. È una costellazione di cellule provenienti da clan e tribù spesso rivali prima della rivolta. I giovani ribelli, urlano, sparano in aria, e danno la caccia ai cecchini, ancora numerosi, appostati sui tetti.

Il centro città ha un aspetto ancor più surreale. Le strette vie sono sbarrate da auto carbonizzate usate come barricate. Si intravvedono le sagome dei saccheggiatori uscire da una casa carichi di oggetti. Le stazioni di servizio sono prese d'assalto dalle diverse cellule di rivoltosi. Scardinano i distributori e rubano la preziosa benzina. Si minacciano a vicenda. Si insultano, si puntano le armi gli uni contro gli altri, sparano in aria. Questa è la Tripoli del dopo Gheddafi, in cui aleggia lo spettro di un dittatore che fa ancora paura. «Torna a far sentire la sua voce per spaventarci. Alcuni di noi gli credono e hanno paura» ci confida Wael, uno dei pochi residenti rimasti in un quartiere vicino al pericoloso Abu Salin. Come ieri mattina, quando nell'ennesimo messaggio audio il raìs ha parlato di ritirata strategica da Tripoli, chiamando i cittadini a prendere le armi e sbarazzarsi dei «ratti», i ribelli.

Dopo 42 ani di Governo spietato, il suo regime è crollato, eppure la battaglia non è ancora finita. Il crepitare dei khalasnikov e il boato dei mortai è un rumore continuo, che diviene familiare dopo poche ore. La disciplina tra i ranghi è una chimera. Bab al-Aziziya, il quartiere bunker di Gheddafi, è stato espugnato. All'interno dell'immenso compound i giovani guerriglieri calpestano le foto del raìs, si arrampicano sulle sue famose statue, appiccano il fuoco ai manifesti dell'ex dittatore. Sparano in aria per festeggiare. Poco dopo un razzo sfiora il perimetro delle mura, poi alcune piccole unità di mercenari fanno fuoco dalle vicinanze. I rivoltosi rispondono disordinatamente, quasi alla cieca. «Il problema sono i cecchini - spiega il comandante Mahmud - spesso sono donne, fedelissime del raìs, ben addestrate. Bisogna stanarli uno a uno. Ci vorrà del tempo».

La popolazione ha paura: dei cecchini, delle ritorsioni, della criminalità. Di brutali rese dei conti. Molti hanno deciso di abbandonare la capitale Altri restano asserragliati in casa in attesa che le armi tacciano. La nuova, grande battaglia sarà quella dell'aeroporto, ancora in mano ai lealisti. È qui che sono diretti centinaia di pick-up armati di lanciarazzi. Qui vicino i ribelli sospettano si nasconda il raìs, come ipotizzato anche dal Pentagono. E forse anche i suoi figli. Saadi, il terzogenito di Gheddafi, ha dichiarato alla Cnn di voler negoziare con gli Usa un cessate il fuoco a Tripoli ed evitare un bagno di sangue nell'ultima roccaforte delle forze del colonnello, la Sirte.

Nel pomeriggio, alla fine del ramadan, ora in cui la gente dovrebbe riversarsi in strada, la Piazza Verde appare ancora più grande, tanto è vuota. Il solo centro animato è l'Hotel Corinzia, dove ci sono quasi duecento giornalisti da tutto il mondo compresi alcuni dei reporter rimasti prigionieri per due giorni dei gheddafiani, senza cibo né elettricità, nell'Hotel Rixos e liberati ieri. In una piazzetta deserta nel quartiere di sharazawya da una moschea sbucano un centinaio di uomini. Portano in spalla un feretro. Al cui interno c'è il corpo di un giovane ucciso da un razzo Rpg mentre si s trovava a casa. «Siamo rimasti qui per difendere il nostro quartiere e proteggere le nostre case dai saccheggi» spiega agitato Ali Tabibi, 52 anni, assicurando che presto Tripoli tornerà ad essere la caotica città di sempre.
Quando scende la notte le colonne di fumo vengono inghiottite dall'oscurità. Ma le sparatorie e i boati continuano a scuotere la città.

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