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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 12:38.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2011 alle ore 08:10.

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Un anno fa il governatore Ben Bernanke preannunciò a Jackson Hole che la Federal reserve avrebbe attuato un secondo round di quantitative easing, di acquisto cioè di titoli pubblici creando moneta, operazione eseguita per 600 miliardi tra gennaio e giugno; e quest'anno ha detto che fra un mese le autorità monetarie discuteranno il da farsi, a fronte di una crescita asfittica e deludente. Un anno fa ci fu una decisione.

Quest'anno un'attesa. E una delusione. Del resto di titoli pubblici, del Tesoro e delle agenzie pubbliche del credito immobiliare, la Fed ne ha acquistato già per oltre 2mila miliardi. Restano numerose frecce al nostro arco, ha detto Bernanke, ma si vedrà.
Il tono è stato attendista, e non ci sono stati squarci rassicuranti per i mercati. Dopo aver ricordato che poteva andare assai peggio - ed è vero - Bernanke ha dato la lettura standard della crisi. Una lettura che come al solito prescinde dalle responsabilità, visto che in ballo ci sono anche le sue.
E se è giustissimo evitare a questo punto recriminazioni, leggere troppo prudentemente le cause porta a conclusioni sbagliate, e quindi a ricette sbagliate o insufficienti.

La recessione, e recessione è un termine a dir poco blando, del 2007-2009, la crisi immobiliare e poi quella finanziaria sono stati presentati al solito come tre episodi staccati, e il guaio, ha detto Bernanke,è che la recessione è stata aggravata dall'immobiliare in caduta e dai problemi di banche e finanza. Sarebbe stato più corretto, nel fare la premessa storica indispensabile, dire che la finanza immobiliare allegrissima è stata “l'accendino del diavolo”(così si chiama un pozzo petrolifero in fiamme difficile da spegnere), che ha fatto precipitare una crisi finanziaria senza precedenti, di insolvibilità come i fatti ultimi confermano, e non di scarsa liquidità, e questa a sua volta ha determinato la forte contrazione economica ancora oggi dura a morire.

Le parole rassicuranti ci sono state: le banche sono più solide, la riforma finanziaria è in corso e funziona, nel medio periodo ci sarà la ripresa dell'edilizia.
Ma il fatto distintivo di questa crisi, come Bernanke ha implicitamente ammesso ma esplicitamente ignorato, è che l'incendio a quasi tre anni dal botto non è stato del tutto domato. E non si tratta solo del debito privato che è diventato debito pubblico e quindi della crisi dei debiti sovrani. "L'accendino del diavolo” aspetta ancora il team di esperti che lo domi, e nulla meglio del nesso fra immobiliare e finanza in America lo dimostra.
Può darsi che fra non moltissimo ci sia una rimonta dell'immobiliare, senza la quale difficilmente ha ricordato Bernanke può esserci una ripresa sostenuta. Ma secondo A. Gary Schilling, uno dei maggiori esperti, saranno necessari 4-5 anni per smaltire lo stock di invenduto e di pignorato che si sta accumulando. I mutui underwater, più alti cioè del valore della casa, sono il 23% del totale e potrebbero secondo Schilling arrivare al 40 per cento.

Il deprezzamento dei valori immobiliari è ormai più forte di quello causato dalla Depressione degli anni 30. E la home equity, la differenza cioè tra il valore medio degli immobili e il monte mutui è ai livelli più bassi dalla fine della seconda guerra mondiale. Basta questo a certificare che la classe media americana è con l'acqua alla gola. Come in Europa, e forse più che in Europa.
Immobiliare nei guai uguale banche nei guai, come il caso recentissimo di Bank of America, che ha dovuto ricorrere a un megafinanziamento di Warren Buffett, dimostra.

Che le banche americane abbiano rinsaldato il capitale più di quelle europee è un fatto, ma è anche un fatto che hanno in portafoglio secondo le stime di Chris Whalen del rispettato Institutional Risk Analytics 4mila e 400 miliardi di titoli legati all'immobiliare e di incerto valore, certamente assai inferiore ai valori di libro, visto che dalla fine 2006 il deprezzamento delle case è di circa il 35 per cento, in media.
Se poi si guarda il sistema nel suo complesso, gravato in totale da oltre 11mila miliardi di titoli in vario modo immobiliare-dipendenti, con la fetta maggiore alle agenzie pubbliche Fannie e Freddie garantite da Washington, parlare di raggiunta stabilità come ha fatto Bernanke è più che altro un programma di lavoro.

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