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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2011 alle ore 12:57.

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Burhan GhaliounBurhan Ghalioun

La caduta di Gheddafi in Libia ha un effetto domino veloce in Siria. I due Paesi sono accomunati da un lungo regime, dai morti e dai tempi della rivolta ispirata dal cambiamento in Tunisia e Egitto tra dicembre e gennaio. Non però dalla risposta dell'Occidente: se i ribelli libici hanno ottenuto una risoluzione Onu che ha dato il via libera a un'operazione militare Nato, i ribelli siriani sono stati massacrati tra avvertimenti, ammonizioni, censure di Onu, Ue e Usa: l'ultima stamattina: i 27 Paesi dell'Ue sono d'accordo a rafforzare le azioni contro il regime siriano e stanno valutando nuove sanzioni contro il settore degli idrocarburi, fanno sapere fonti europee a Bruxelles. Il regime di Bashar al-Assad, però, ha promesso riforme e elezioni ma ha continuato indisturbato a reprimere e mostrato irritazione per «le interferenze esterne». Anche se durante una riunione al Palazzo delle Nazioni Unite perfino il ministro degli Esteri russo ha dovuto ammettere «tristemente» che la Siria sta scivolando «verso la guerra civile».

Stamattina le somiglianze sono aumentate. Le opposizioni siriane hanno annunciato ad Ankara, in Turchia, la creazione di un Consiglio nazionale di transizione formato da 94 membri - lo stesso nome usato dal governo provvisorio libico che ha avuto sede a Bengasi per mesi, la prima città rbelle, e dal fine settimana, con la fuga di Gheddafi, si è trasferito a Tripoli.

Il presidente del Consiglio nazionale di transizione siriano è Burhan Ghalioun, noto intellettuale, residente in Francia dove da anni è docente di sociologia politica alla Sorbona di Parigi e direttore del Ceoc, Centre d'Etudes sur l'Orient Contemporain. Ghalioun è stato eletto dalla maggioranza dei membri del Consiglio ed è affiancato da tre vice presidenti: Faruq Tayfur, Wajdi Mustafa e Riad Seif.

Oggi il bilancio dei morti è di sei persone uccise a causa delle operazioni delle forze di sicurezza. Lo hanno riferito due ong del paese arabo, l'Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdu) e gli attivisti dei Comitati di coordinamento locale in Siria (Lccs). Secondo l'Osdu, sono in totale cinque le vittime della repressione a Sarmin, nella provincia nordoccidentale di Idlib. Il presidente dell'ong, Rami Abdel Rahman, ha spiegato che tra le vittime ci sarebbe anche un bambino mentre altre 60 persone sono rimaste ferite dai colpi d'arma da fuoco durante l'operazione. Un sesto uomo, ha rivelato Lccs, è stato ucciso in un blitz delle forze di sicurezza in un'abitazione di Qara, poco fuori Damasco.

Blindati delle truppe siriane hanno fatto irruzione anche nella città di Hit, a due km dal confine con il Libano. Secondo il Syrian Observatory for Human Rights, sarebbero stati uditi pesanti scontri a fuoco. Stessa situazione in una città a nord di Homs, Rastan.

Il Washington Post ha infine rivelato che la Siria possiede arsenali chimici altamente pericolosi e «dispersi in migliaia di testate e proiettili di artiglieria»: il quotidiano americano cita esperti di armi e funzionari Usa. Nel caso di improvviso collasso del regime di Bashar al-Assad, afferma il giornale, il rischio più grande è che bande di terroristi approfittino del caos generale per appropriarsi di queste armi, che sono facilmente trasportabili. «È uno scenario che teniamo in considerazione se le cose andassero male» ha ammesso un ufficiale della sicurezza statunitense. «Molte persone lo seguono da vicino», ha aggiunto. Damasco iniziò a sviluppare arsenali chimici negli anni '70, utilizzando tecnologie russe.

Hafez al-Assad, padre dell'attuale presidente Bashar, mirava soprattutto a dotarsi di un deterrente strategico contro Israele, il cui esercito aveva umiliato le forze di Damasco nella Guerra dei Sei Giorni del 1967, conquistando le alture del Golan. E mentre diversi Paesi - inclusi Usa e Russia - accettarono progressivamente di ridurre le loro dotazioni chimiche, la Siria si rifiutò di firmare l'apposita Convenzione Onu, procedendo invece ad un allargamento dei propri arsenali. Secondo la Cia, scrive il Washington Post, Damasco possiede oggi «grandi scorte di testate al sarin», gas nervino letale anche in concentrazioni minime, e «lavorava per sviluppare il VX», altro agente nervino classificato dalle Nazioni Unite come arma di distruzione di massa.

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