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Questo articolo è stato pubblicato il 29 agosto 2011 alle ore 08:38.

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Ha risposto alle domande del Gip di Monza, Anna Magelli, per circa due ore dichiarandosi totalmente estraneo alle accuse, l'ex assessore all'Edilizia del Comune di Sesto San Giovanni, Pasqualino Di Leva, finito in carcere per corruzione giovedì scorso nell'inchiesta dei pm di Monza sul presunto giro di tangenti per le aree ex Falck e Marelli. Anche l'architetto Marco Magni, sempre arrestato per corruzione, si è difeso davanti al gip dichiarando la sua estraneità alle contestazioni.

Intanto, in procura a Monza i pm Walter Mapelli e Franca Macchia stanno ascoltando Nicoletta Sostaro, all'epoca responsabile dello sportello unico dell'edilizia del comune di Sesto, che avrebbe avuto stretti rapporti con l'ex assessore Di Leva e con l'architetto Magni in merito al rilascio di autorizzazioni amministrative in ambito edile. Come ha spiegato l'avvocato Giuseppe Vella, legale di Di Leva, l'ex assessore si è difeso nell'interrogatorio di garanzia davanti al gip producendo anche tutta una serie di documenti che dimostrano la sua «estraneità alle accuse». Il legale ha chiesto che il gip rimetta in libertà Di Leva o che in subordine gli conceda gli arresti domiciliari. L'avvocato non è invece voluto entrare nel merito dell'interrogatorio.

Il legale di Magni, invece, l'avvocato Luigi Peronetti, ha chiarito che l'architetto davanti al gip tecnicamente si è avvalso della facoltà di non rispondere perchè alla difesa non sono ancora state fornite tutte le carte depositate nell'inchiesta. Magni ha però deciso di rendere dichiarazioni spontanee davanti al giudice difendendosi. Il suo legale ha chiesto per lui remissione in libertà o in subordine i domiciliari, spiegando tra l'altro che non sussistono le esigenze cautelari.

L'ex assessore all'edilizia di Sesto, Pasqualino Di Leva, e l'architetto Marco Magni sono finiti in carcere giovedì scorso per corruzione. Quattro «fatture» da circa 620 mila euro l'una e una «richiesta» di altri «2 miliardi di lire», per un totale di quasi 3,5 milioni di euro. È la cifra che, stando agli atti dell'inchiesta dei pm di Monza avrebbe dovuto versare alle «cooperative emiliane» l'imprenditore Giuseppe Pasini, su indicazione di Filippo Penati, il dimissionario esponente Pd ed ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani.

Nell'affare immobiliare sull'area ex Falck, infatti, come spiega il gip di Monza Anna Magelli, «tra le condizioni previste dai politici» c'era anche «l'ingresso delle cooperative». E nell'ambito «delle trattative», si legge ancora, Pasini accettò «di garantire a Penati non solo il pagamento di somme di denaro, ma anche altre utilità come per l'appunto l'affidamento di parte delle opere residenziali a soggetti terzi, notoriamente vicini politicamente all'amministrazione comunale». Ossia, quelle cooperative che Pasini, in un interrogatorio davanti ai pm del 26 maggio scorso, definisce «il braccio armato del partito» e con le quali «non era opportuno litigare».

Se infatti, come spiega Diego Cotti - consigliere comunale quando Penati era sindaco a Sesto e sentito dai pm nel marzo scorso - Pasini apparteneva alla categoria degli imprenditori locali e quindi «più gestibili, cioè in condizione di poter essere condizionati nelle loro scelte dal potere politico», alle «cooperative emiliane» spettava il ruolo di figurè «più strutturate e più vicine al partito».

Pertanto, si legge nelle carte, Giuseppe Pasini e il figlio Luca «prima di incontrare i Falck si incontrarono con i rappresentanti delle cooperative», ossia con Omer Degli Esposti, vicepresidente del Consorzio Cooperative Costruzioni e con «un certo Salami».

Luca Pasini poi «conobbe Francesco Agnello, che venne presentato da Degli Esposti, da Salami o da Vimercati (l'ex braccio destro di Penati) come anello di congiunzione tra la proprietà Falck, l'amministrazione pubblica, le cooperative ed il gruppo Pasini», nonchè come «persona che era in stretti rapporti con Penati». Luca Pasini, sentito dai pm, ha raccontato inoltre che gli uomini delle cooperative dissero di non aver «soldi» per entrare nell'affare, «ma che comunque loro si ritenevano nostri soci per almeno un anno» e che si sarebbero occupati «dell'edilizia convenzionata».

I pm hanno acquisito, «a riscontro dei rapporti economici tra Pasini e Francesco Agnello», due «scritture private datate 13-2-2001» stipulate tra Pasini e «la società Gruppo Aesse srl». E poi fatture emesse anche dalla «Fingest srl, società quest'ultima anch'essa riferibile alle cooperative emiliane, la quale in data 12-10-2003 ha inviato a una società del Gruppo Pasini (San Clemente srl) la richiesta di autorizzazione ad emettere fattura per l'importo di 2 miliardi di lire». Tracce di pagamenti per un totale di circa 3,5 milioni di euro da Pasini verso le cooperative con un «fattore comune»: le società, stando alle indagini, non avrebbero erogato «alcuna prestazione a fronte dei pagamenti».

Le cooperative, secondo i pm, avrebbero fatto parte di quel sistema Sesto che, dal '94 al 2010, si sarebbe incentrato su una vasta «rete di relazioni» e su un giro vorticoso di mazzette: i pm ipotizzano che Penati - per cui il gip ha deciso di non disporre il carcere per intervenuta prescrizione del reato - o il suo ex braccio destro Vimercati abbiano ricevuto tra gli 8,5 e i 9 milioni di euro. Due milioni di euro almeno, sempre secondo i pm, Penati li avrebbe usati per finanziare illecitamente il suo partito, reato a lui contestato fino «al dicembre 2010».

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