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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2011 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2011 alle ore 06:36.

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Quando le ragioni della politica debole hanno la meglio sulla responsabilità delle scelte necessarie è la logica la prima a rimetterci. E il riformismo finisce per perdersi in soluzioni pasticciate, che non risolvono i problemi e ne alimentano di nuovi.
È storia d'Italia. Che si ripete. E si ripropone inesorabile nelle cronache delle ultime 48 ore della manovra di Ferragosto.

Lo stop della Lega di Umberto Bossi sul necessario aumento generalizzato dell'età pensionabile ha di fatto imposto - nonostante i meritevoli sforzi del ministro Sacconi - la ricerca di una soluzione acrobatica, che ha finito per suscitare reazioni durissime ed è stata rimessa in discussione anche all'interno della maggioranza per i suoi rischi di illegittimità.
Si cercano ora rimedi tecnici per uscire dall'impasse. Ma la percezione che ci si sia infilati in un pasticcio si è diffusa chiara e distinta. In Italia e in Europa. E soprattutto sui mercati, che ieri hanno dato non pochi segnali di nervosismo spingendo lo spread tra BTp e Bund di nuovo a cavallo della soglia 300 e rendendo necessario un nuovo intervento della Bce.

Ma il nodo principale, sul quale i trader finanziari sono pronti a colpire, è quello della difficile copertura delle misure fissate nel vertice di lunedì.
Si è rinunciato a un beneficio sicuro per i conti pubblici nel triennio per 3,8 miliardi (il contributo di solidarietà) e per 2-3 miliardi (il taglio ridotto ai Comuni) senza individuare introiti alternativi altrettanto sicuri. La lotta all'elusione e all'evasione è una necessità inderogabile in questo Paese, ma metterla dall'oggi al domani a copertura di mancati tagli è una scommessa che si può pagare cara.

Eppoi la rinuncia, ancora una volta, a sperimentare ricette forti per la crescita, come l'utilizzo delle risorse di un possibile aumento dell'Iva in favore di un taglio forte delle imposte sul lavoro. Segnale ulteriore di un riformismo mancato.
Anche sul contributo di solidarietà si sono mandati segnali contraddittori. Alla fine è stato probabilmente un bene togliere un balzello che, così come era stato concepito, finiva per colpire i soliti noti che pagano le tasse. Ma l'ennesimo tira e molla nella maggioranza ha prodotto il paradosso di far scendere sul piede di guerra statali e alte magistrature, che il contributo di solidarietà avrebbero dovuto pagarlo già in base alla manovra dell'anno scorso.

Qui, però, l'appello al senso di responsabilità va esteso al di fuori della politica. Ribellarsi, da parte di alti dirigenti dello Stato, al contributo di solidarietà, facendo finta di ignorare che per loro il taglio degli stipendi era stato già introdotto l'anno scorso, dà il senso di una strumentalizzazione, di una irresponsabile corsa a salire sul carro delle proteste per ottenere vantaggi e sottrarsi ai sacrifici.
È l'altra faccia della politica debole: il Paese delle mille categorie che sfuggono alle proprie responsabilità, che chiedono sacrifici sempre e solo per gli altri, che insorgono a difesa del proprio orto, spingendo la trebbiatrice sempre un po' più oltre la siepe.

Ieri se ne è avuta l'ennesima dimostrazione. Prima i medici, poi i magistrati, quindi gli statali, e ancora gli avvocati. Piccoli e grandi Comuni avevano fatto sentire da tempo la loro voce, e ieri le Regioni sono tornate ad alzare i toni. Le coop tutte, rosse e bianche, hanno riattivato le loro reti di protezione in Parlamento.
È davvero la danza macabra degli scheletri di Holbein. È come se mancasse la percezione del momento cruciale che stiamo attraversando.

È l'ora della responsabilità, non delle beghe politiche e delle rivendicazioni di parte. Abbiamo addosso gli occhi dell'Europa e dei mercati finanziari. E abbiamo abbondantemente esaurito il nostro credito. Non si può continuare a mettere in discussione le misure approvate, riportando in bilico i saldi complessivi. La politica dimostri la responsabilità che finora le è mancata. Il Paese seguirà.

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