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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2011 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 01 settembre 2011 alle ore 07:37.
Qualcosa si muove in Europa. Passi non decisivi, ma nella giusta direzione, da due capitali, Berlino e Lisbona, quasi agli estremi opposti dello spettro dei Paesi virtuosi e dei Paesi in crisi. In Italia, siamo fermi agli annunci. E anche quelli hanno ogni giorno, si potrebbe dire di ora in ora, una direzione diversa, spesso opposta a quella precedente.
A Lisbona, il nuovo Governo portoghese ha varato una manovra destinata ad azzerare il deficit in quattro anni, composta per due terzi da tagli alla spesa e solo per un terzo da aumenti di imposte.
La composizione è quella giusta, la dose, quasi 9 punti di pil, rischia di aggravare la recessione. Un pericolo che il Portogallo ha ben presente, tanto che l'intesa raggiunta con i creditori internazionali (Europa e Fondo monetario) è imperniata non solo sul risanamento dei conti, ma anche e soprattutto su azioni di recupero della competitività. La misura chiave è la fiscalizzazione degli oneri sociali, riduzione dei contributi in cambio di un aumento dell'Iva. In Italia a qualcuno dovrebbero fischiare le orecchie: diede buoni risultati a fine anni 70 e recentemente l'ha rilanciata Prometeia. L'Fmi l'ha ribattezzata "svalutazione fiscale".
Ma naturalmente la vera partita si gioca a Berlino. Il Governo tedesco ha approvato ieri i nuovi poteri dell'Efsf, il fondo europeo salva-Stati. Ora deve vedersela con la rivolta montante nei ranghi della maggioranza in vista del voto parlamentare del 29 settembre. Un test non facile, ma in Germania almeno l'esecutivo alla fine ha mandato un segnale univoco.
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