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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2011 alle ore 19:00.
L'ex ministro Arturo Parisi, che sul referendum pro Mattarellum ci ha messo la faccia, gongola. «Nell'aprire a Pesaro, e in molte parti d'Italia, il Pd alla raccolta delle firme, pur senza pretendere di metterci il cappello Pierluigi Bersani ha scommesso sulla riuscita del referendum. Ha scommesso nei fatti». Ma la mediazione proposta ieri dal segretario al vertice dei big del Pd, nel tentativo di evitare nuovi sfilacciamenti, potrebbe diventare una pericolosa mina vagante nel futuro cammino dei Democrats. Reso ancora più accidentato dal ciclone giudiziario che ha travolto l'ex capo della segreteria politica di Bersani, Filippo Penati.
Il Pd querela Sallusti per la vicenda Penati
Due tasselli che rischiano di spaccare il partito e di condizionare la difficile mission del segretario: offrire al paese l'immagine di una opposizione forte e credibile nel momento in cui la maggioranza annaspa dietro la manovra-bis e i nuovi sviluppi giudiziari che lambiscono il presidente del Consiglio. Bersani ne è consapevole e per questo ha tirato fuori gli artigli per respingere l'attacco. Così oggi sono partite le prime querele (a farne le spese è il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti) contro chi insinua la non estraneità del Pd al sistema di presunte tangenti nato attorno all'ex area Falck di Sesto San Giovanni. Ma molti dentro il partito sono convinti che una presa di distanza dall'ex presidente della provincia di Milano non basti.
Lunedì il caso arriva all'esame dei garanti
Lunedì prossimo si riunisce la commissione di garanzia del Pd presieduta dall'europarlamentare Luigi Berlinguer che dovrà valutare la vicenda e forse avviare la riforma dello statuto del partito per renderlo più inflessibile sui temi della moralità interna. Proprio Berlinguer ha annunciato che con Bersani si è convenuto che Penati abbia tutti i diritti di difendere la sua onorabilità come qualunque altro cittadino, ma ha altrettanto diritto di farlo il suo partito. L'ala veltroniania del Pd, pur senza pronunciare la parola "espulsione", aveva fatto balenare tale possibilità che però non sembrerebbe più all'ordine del giorno vista la rinuncia di Penati alla prescrizione. Ma il caso continua a far discutere e scatena anche il fuoco amico di chi, come il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, è convinto «che Bersani non poteva non sapere».
Sul referendum il partito è ancora diviso
Dall'altra parte c'è la battaglia per il referendum con il segretario che prova a scegliere la soluzione più indolore. «Il Pd - ha affermato Bersani - ha una proposta di riforma che non è il Mattarellum anche se il Mattarellum è meglio dell'attuale legge. Il referendum può essere uno strumento utile per aiutare una riforma in parlamento e quindi noi dobbiamo favorire la raccolta di firme, ma senza metterci il cappello». Peccato però che dentro il partito non tutti siano convinti dell'opportunità di una simile scelta: dai dalemiani - molti erano a favore del referendum filo proporzionale promosso da Passigli - ai popolari (che temono così un ritorno a coalizioni eterogenee, come l'Unione).
Casini ribadisce i suoi desideratasulla legge elettorale
Per non dire dei problemi che rischiano di aprirsi sull'asse Pd-Udc con Casini assolutamente contrario al ritorno del Mattarellum. Non a caso, oggi, il leader dei centristi si è affrettato a ribadire i suoi desiderata. «Sono d'accordo a discutere dopo la manovra della legge elettorale perché non c'é dubbio che questo è il modo serio per corrispondere a un'esigenza primaria che gli italiani hanno». Fermo restando che le sue preferenze non sono cambiate e portano «verso un sistema proporzionale alla tedesca con 4 o 5 grandi partiti che devono assumersi la responsabilità». Per il referendum, insomma, nessun margine da quelle parti.
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