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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 13:27.
L'ultima modifica è del 04 settembre 2011 alle ore 08:10.
Si tratta di strumenti che hanno una loro innegabile efficacia (non appena la Bce ha preso a comprare i nostri titoli, lo spread a nostro danno è immediatamente sceso), ma hanno anche i loro limiti invalicabili. La Bce non può riempirsi di titoli che un giorno potrebbero rimanerle in mano svalutati, svalutando così il suo stesso capitale, Né può condizionare al di là di tanto la sua quotidiana politica monetaria, nell'ambito della quale è tenuta per statuto a riassorbire la liquidità che via via immette con l'acquisto di questi titoli. Le cose potranno andar meglio con l'EFSF, ma – come è stato abbondantemente scritto da più parti – tutti sanno che le sue munizioni (cioè i crediti assicuratile da ciascuno degli Stati partecipanti) possono non essere sufficienti a fronteggiare eventuali, gravi difficoltà dei Paesi debitori più grandi. Le munizioni crescerebbero se quei crediti diventassero il suo capitale e se, a fronte di esso, l'EFSF potesse allargare i suoi interventi con una "leva" sia pur limitata. I suoi titoli, a quel punto, sarebbero degli embrionali eurobond.
Ma proprio per questo, anche un passaggio del genere incontra le resistenze che vengono opposte all'eurobond. E allora con queste resistenze bisogna fare i conti ed evitare di vederci soltanto le titubanze e la mancanza di coraggio politico di Angela Merkel, magari con la speranza che esse svaniscano il giorno che la Merkel non fosse più il Cancelliere tedesco. È vero che si devono in primo luogo a lei i ritardi, e gli stessi limiti, con i quali l'Europa è intervenuta, facendone pagare un prezzo che è andato ben oltre il dovuto ai Paesi che per primi si sono trovati in difficoltà, in particolare la Grecia. Ed è anche vero che in Germania non tutti la pensano come lei e i leaders dell'Spd si sono espressi ripetutamente a favore dell'eurobond.
Ma attenzione, non è un favore incondizionato. Come ci racconta su Aspenia online del 31 agosto Giovanni Boggero, il Presidente dell'Spd Sigmar Gabriel ha detto in una recente intervista alla ARD che «abbiamo bisogno di bond comunitari in modo da ridurre il peso degli interessi dei Paesi più esposti. Ma gli Stati che vorranno servirsi degli eurobond dovranno rinunciare alla propria sovranità in materia fiscale e sottoporsi a un maggiore controllo dell'Unione». Non è quello che suole ripetere il ministro dell'Economia tedesco Wolfang Schauble (per gli eurobond occorre una vera politica fiscale comune), ma non ne siamo molto lontani.
È qui che tocca a noi, Paese indebitato alfiere degli eurobond, essere anche alfieri di quelle rinunce di sovranità fiscale e di quei più stretti controlli che giustamente vengono chiesti ai fini di una garanzia collettiva. Ma a quanto sembra da questo orecchio ci sentiamo molto meno, a giudicare dalle reazioni alla famosa lettera di agosto con le condizioni della Bce e – lo notava Carlo Bastasin ieri su queste colonne – dalla libertà con la quale montiamo, smontiamo e rimontiamo la manovra che a quelle condizioni dovrebbe ottemperare.
Certo, l'inadeguatezza della attuale governance economica europea, essa stessa in costruzione, legittima in parte le nostre reazioni e i nostri comportamenti. Non è stato gradevole vedersi dettate le condizioni dalla Bce, ma in assenza dell'EFSF (i cui "governatori" saranno i ministri finanziari degli Stati membri partecipanti), era ed è la Bce a metterci i suoi soldi. Ancora meno gradevole è stato sentircele ribadire, le condizioni, da Nicholas Sarkozy e dalla Merkel, che avevano ancora meno titolo a farlo.
Ma questo lo diciamo per difendere la nostra sovranità fiscale, ritenendo che l'eurobond non debba intaccarla più di tanto, oppure perché pensiamo a modalità più ortodosse, e siamo pronti a proporle, per vincolare gli Stati che si aspettano la solidarietà altrui (compresi noi, amanti quali siamo della libertà di manovra)?
Insomma, chi ci guarda oggi può pensare che secondo noi la solidarietà europea deve consentire a ciascuno di fare come vuole e di presentare il conto agli altri. È vero che i tedeschi hanno un'unica parola, schuld, per definire il debito e la colpa. Ma non aiuta l'eurobond fornire argomenti a favore di questa loro opinabile peculiarità linguistica.
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