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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2011 alle ore 13:47.
L'ultima modifica è del 11 settembre 2011 alle ore 08:10.

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Il 9 di settembre 2011 rischia di essere ricordato come la data di inizio della fine dell'euro, almeno dell'euro a 17 Paesi. Le dimissioni di Jürgen Stark, che seguono di sette mesi le dimissioni del governatore della Bundsbank Axel Weber, non sono solo un segnale dei dissensi interni alla Banca Centrale Europea (Bce), sono una presa di distanza della Germania da un'istituzione in cui non si riconosce più.

Anche il mercato l'ha capito, facendo scendere fortemente l'euro rispetto alle altre valute.
I tedeschi avevano accettato di privarsi dell'amato Deutsche Mark in cambio di garanzie solide su come la politica monetaria sarebbe stata condotta. Queste garanzie sono state violate. Sia Axel Weber che Jürgen Stark si sono dimessi perchè non vogliono avere nulla a che fare con decisioni ai limiti della legalità, che violano lo spirito se non la lettera degli accordi europei. Alcuni sostengono che Jürgen Stark voglia entrare in politica. Non so se sia vero, ma l'esistenza di questo rumor dimostra il seguito popolare che la sua posizione ha in Germania.

Il motivo del contendere è l'acquisto da parte della Bce dei titoli di stato dei Paesi a rischio. Il primo errore fu fatto nel Maggio 2010 quando, nelle more della politica, la Bce intervenne, comprando titoli greci ed accettandoli come collaterale nelle operazioni di prestito. La funzione di una banca centrale è quella di fornire liquidità al sistema, non di assumersi alcun rischio di credito nè tantomeno di salvare stati dall'orlo del fallimento.
Questo è il compito delle autorità fiscali, che, in democrazia, devono avere il consenso del parlamento (un principio riaffermato giovedì dalla decisione della Corte Suprema tedesca). Anticipando i rischi che questo passo comportava Axel Weber si era opposto. Trichet, preoccupato dalla lentezza della politica, decise di andare avanti lo stesso. A causa di questa decisione a fine 2010 la Bce ha dovuto fare accantonamenti per le perdite subite negli acquisti dei titoli greci.

Nonostante i costi, ai primi di agosto Trichet ha ripetuto l'operazione coi titoli italiani e spagnoli. Si era reso conto che la situazione italiana aveva raggiunto il punto del non ritorno. Preoccupato dalla lentezza della politica (sia italiana che europea) Trichet ha deciso nuovamente di andare avanti, probabilmente contro il parere di Stark. Il comportamento del governo italiano non ha certo giovato a rendere popolare in Germania questa decisione.
Come ricordavo domenica scorsa, la Bce ora è in trappola. Se si tira indietro, l'Italia fallisce. Se non si tira indietro, l'euro si spacca. Le dimissioni di Stark suggeriscono che si sta andando nella seconda direzione. La Germania non accetta la monetizzazione del debito. Teme una frattura dell'Europa, ma teme ancora di più l'inflazione.

Cosa farà? L'ipotesi più probabile è la formazione di una unione monetaria alternativa, in cui la Germania abbia di fatto potere di veto. La Germania, con i Paesi del Nord Europa e la Francia, rappresentano un'area economicamente omogena per una moneta comune. Per minimizzare il costo politico di "distruggere l'Europa", la Germania può presentare questa manovra come un passo in avanti, invece che un passo indietro. Con questi Paesi, la Germania entrerebbe in un'unione non solo monetaria ma anche fiscale. Sarebbe disposta a farlo non solo perchè questi Paesi sono più omogenei e meglio governanti, ma anche perchè creando una nuova unione sarebbe in grado di ridefinirne la governance. Il principio di uno-stato un-voto e quello di unanimità per tutte le decisioni sarebbe rimpiazzato da voto pesato per popolazione o Pil e decisioni a maggioranza. In entrambi i casi, i tedeschi controllerebbero di fatto l'unione.

L'attuale euro rimarrebbe la moneta del Sud Europa. D'altra parte il governatore della Bce sarà un italiano, il vicegovernatore portoghese, e, con Stark dimissionario e Trichet a fine mandato, l'executive board, è composto solo di rappresentanti del Sud Europa, con l'eccezione del belga Peter Praet. Questi Paesi rimarrebbero in un'Europa di serie B. Solo dopo aver dato prova di essersi riformati, migliorando la competitività e il bilancio pubblico, potranno essere ammessi all'Europa di serie A. È quello che sarebbe dovuto succedere con Maastrich, se non fosse stato per le pressioni politiche, soprattutto dell'Italia.

Anche oggi l'unica reticenza dei tedeschi nel fare questo passo sarebbe quella di abbandonare l'Italia, un partner commerciale importante e uno dei Paesi fondatori dell'Europa. Ma, come mi ha confessato un amico tedesco, Berlusconi li sta aiutando enormemente a superare questa reticenza.

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