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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2011 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 13 settembre 2011 alle ore 06:44.

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È ovvio che nella crisi, ormai pressoché quotidiana, del credito in Borsa la Grecia c'entri qualcosa. Quando il mercato sa che di quei 340 miliardi di debito, che rischiano di non essere onorati, una fetta consistente, pari a quasi un terzo, è appannaggio di Parigi e Francoforte è inevitabile lo sconforto. Se non la paura.

Ma la Grecia o anche lo sguardo occhiuto e implacabile delle agenzie di rating rischiano solo di essere dei pretesti. O meglio la punta dell'iceberg delle traversìe ben più profonde che agitano i sonni dei banchieri e da mesi degli investitori. La vera preoccupazione infatti è sulla reale tenuta dei bilanci delle banche europee agli choc estremi. E il crack improvviso, rapido e violento di Lehman, quasi tre anni fa, ha insegnato che è difficile percepire sintomi premonitori.

Non si spiegherebbe altrimenti il clima di sfiducia montante denotato dal fatto che gli istituti da settimane preferiscono percheggiare i soldi (a tassi irrisori) presso la Bce piuttosto che prestarli al resto del sistema a tassi più convenienti. Eppure ci sono i bilanci, l'informativa è pubblica e le banche sono reduci da ben due prove sotto sforzo condotte dall'Autorità bancaria europea che hanno detto (tutte e due le volte!) che il sistema del credito europeo è solido e non ha nulla da temere. Il mercato in questi lunghi mesi dice, di fatto, che non ci crede.

Chi ha ragione? Difficile dirlo, ma qualcosa tra le righe dei bilanci balza agli occhi. Société Générale ribadisce da giorni che tutto va bene. Sarà certamente vero. E a confortare il mercato ci dovrebbe essere quel livello di Tier 1 all'11,3%. Ma evidentemente al mercato non pare sufficiente. Gli investitori, almeno quelli più avveduti, sanno anche altre cose. Che la solidità patrimoniale dell'istituto francese si confronta su un attivo pesato per il rischio (Rwa) di soli 333 miliardi. Poco se si guarda all'intero bilancio della banca francese che vale quasi quattro volte di più, ben 1.160 miliardi. Vuol dire, sintetizzando molto, che oltre 700 miliardi di impieghi del gruppo non sono conteggiati ai fini dei requisiti patrimoniali.E quindi bastano poco più di 45 miliardi di capitale (badate bene su 1.160 di attività) per ritenere la banca forte e solida.

Tutto in regola ovviamente, tutto secondo norme e principi contabili. Nessun trucco. Ma il mercato evidentemente non pensa che gli attivi a rischio di SocGen, una banca globale e d'investimento siano così bassi. E SocGen è solo un esempio.

Quasi tutte le grandi banche d'investimento del Nord Europa hanno attivi per il rischio molto bassi rispetto al loro bilancio complessivo. Bnp Paribas, l'altra francese si ferma al 31%; Deutsche Bank non va oltre il 20%. Tanto per dare un'idea le due grandi banche italiane, UniCredit e Intesa Sanpaolo hanno attivi a rischio per il 48% e 50 per cento. Un paradosso. A cosa porta tutto ciò? Al fatto che tenendo più bassi possibili le attività considerate a rischio, serve detenere meno capitale per tenere comunque alti i livelli di solidità patrimoniale. Ma il mercato non è stupido e queste cose le sa molto bene. E le tiene in conto.

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