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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2011 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 13 settembre 2011 alle ore 18:25.

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Come i mercati hanno dimostrato ieri di aver ben capito, le dimissioni di Jürgen Stark dalla Bce avvicinano il momento, che peraltro non è mai stato tanto lontano, in cui quest'ultima dovrà smettere di acquistare titoli pubblici italiani. Agli occhi dell'opinione pubblica tedesca e di altri Paesi finanziariamente solidi, una forte presenza della Bundesbank nel consiglio della Bce è una garanzia essenziale.

Le dimissioni del rappresentante della Bundesbank Stark fanno della Bce un'istituzione ancora più "aliena" e inaffidabile, e costringono quest'ultima a una molto maggior cautela. In particolare, è divenuto impossibile fare finta di non sapere quale sia la vera natura degli acquisti Bce, che è quella di un trasferimento fiscale dalla Germania all'Italia. Più questo diventa chiaro, e meno l'opinione pubblica europea lo può accettare.
In maniera particolare non lo può accettare dato il modo in cui abbiamo distrutto la nostra credibilità nelle settimane passate (e non solo quella del Governo, che chiaramente vive su un altro pianeta, ma anche quella di buona parte dell'opposizione, che ha proclamato uno sciopero generale senza neanche sapere contro cosa scioperava).

Ulteriori interventi della Bce possono dunque solo provocare ulteriori spaccature che, al limite, potrebbero portare alcuni Paesi ricchi a uscire dall'euro per così dire "dall'alto" (un'ipotesi che, va detto, risolverebbe comunque molti problemi, ma che sicuramente non è nell'interesse dei vertici della Bce).
In ogni caso è facile individuare una data limite oltre la quale la Bce ci abbandonerà di sicuro: il 1° di novembre, cioè il giorno in cui Mario Draghi diventerà presidente della Bce. Il giorno in cui vedremo un presidente della Bce italiano che stampa euro per comprare debito pubblico italiano sarà il giorno in cui vedremo anche i risparmiatori e contribuenti tedeschi scendere in piazza e andare all'assalto del palazzo della Bce a Francoforte. In realtà, come ho detto, gli interventi della Bce a nostro favore finiranno quasi sicuramente molto prima: non è pensabile che essa si voglia immolare per l'Italia, completando la propria trasformazione, al momento in corso, da banca centrale a "bad bank" in cui sono parcheggiati tutti i titoli invendibili dell'area euro.

Cosa succederà dopo? La prima cosa che succederà sarà che i tassi sul debito italiano andranno alle stelle, visto che nelle ultime settimana la Bce è stata praticamente l'unico acquirente di questi titoli. In altre parole l'Italia sta viaggiando a grande velocità verso il momento in cui non potrà più finanziarsi sui mercati. Chi ci salverà allora?
È da sperare che sia finalmente chiaro a tutti che le altre varie soluzioni europee (eurobond, fondo salva-Stati, eccetera) sono pure chimere, per lo stesso motivo per cui gli interventi della Bce sono sempre più politicamente insostenibili: sono tutte forme di trasferimento fiscale dal contribuente tedesco a quello italiano.

Meno improbabile appare forse un intervento del Fondo monetario internazionale. Ovviamente l'Fmi non ha assolutamente le riserve finanziarie necessarie a salvare un Paese con il debito enorme che ha l'Italia. Ma un sia pur molto modesto prestito del Fondo potrebbe servire a rassicurare i mercati e a far scendere almeno in parte i rendimenti. La ragione è che i prestiti del Fondo sono in genere accompagnati da severissime e assai dettagliate condizioni su specifiche misure, sia fiscali, sia di riforma dell'economia, che il Paese beneficiario deve prendere. In pratica, sarebbe il Fondo a farsi carico delle decisioni di politica economica dell'Italia. Questo trasferimento di sovranità da Roma a Washington potrebbe rassicurare i mercati e consentire all'Italia di ritornare alla raccolta.

Non occorre dire che lo spettacolo di un Paese del G-7 "commissariato" dall'Fmi sarebbe uno spettacolo sbalorditivo. Ma non più sbalorditivo di quello che abbiamo dato di noi questa estate.

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