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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2011 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 22 settembre 2011 alle ore 06:45.

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Ora che la maggioranza ha stretto i ranghi intorno a Marco Milanese, opponendosi con apparente coesione all'ipotesi del suo arresto, c'è solo un'osservazione da fare. Se oggi alla Camera il voto sarà contrario all'ex consigliere di Tremonti, vorrà dire che si sarà aperta una crepa politica di prima grandezza nella diga già fatiscente dell'alleanza Pdl-Lega.

Perché delle due l'una: o la sconfitta nasceva da un incidente parlamentare, da un colpo di mano imprevisto dei franchi tiratori, e allora si sarebbe potuto forse minimizzare. Ma se il voto sfavorevole arriva adesso, dopo gli sforzi di Berlusconi e Bossi e dopo giorni di polemiche, allora il messaggio sarebbe fin troppo chiaro: c'è in atto un vero e proprio ammutinamento contro il presidente del Consiglio e il suo storico alleato Bossi. Sarebbe la prova definitiva che la maggioranza, sia pure a voto segreto, non riesce più a difendere quella compattezza che ancora ieri sera il premier rivendicava come titolo di legittimità per andare avanti fino al 2013. Vedremo stamane. Ma è evidente che Berlusconi a questo punto non può permettersi il sacrificio di Milanese, perché sarebbe anche la sua personale disfatta. Un ulteriore elemento che renderebbe ancora più esplicito il tramonto di una stagione politica.

D'altra parte è lui, il presidente del Consiglio, ad aver scelto la via della resistenza a oltranza. Senza subordinate, senza lasciare spiragli - almeno per ora - a ipotesi diverse. Si dirà che è nel suo diritto, finché c'è una maggioranza, sia pure raccogliticcia (in spregio alla filosofia del bipolarismo), che lo sostiene. Eppure non ci sono solo i numeri parlamentari. C'è una questione di opportunità e un interesse generale del Paese che pure andrebbero considerati. Conosciamo la caparbietà di Berlusconi, quella tenacia ai limiti della testardaggine che in anni passati è stata la sua forza. Infatti nessuno pensava seriamente che dopo il colloquio al Quirinale sarebbe cambiato qualcosa nell'attitudine del presidente del Consiglio. Tuttavia i problemi restano tutti sul tavolo, squadernati e irrisolti. Se oggi a Montecitorio Milanese cade, la valanga comincerà a rotolare a valle.

Con tutte le conseguenze che si possono immaginare, ma anche con tutte le incognite di una crisi senza precedenti nelle modalità, nei rischi e nel punto d'approdo che nessuno può dire di conoscere con sicurezza. Infatti l'incertezza già incoraggia gli avventurieri, come si è visto con l'infelice uscita di Di Pietro sulle violenze di piazza, e i relativi morti, in caso di mancate dimissioni. Si potrebbe dire: questo è il momento di mostrare buon senso e chi ne possiede un po' è meglio che lo usi. È difficile immaginare un presidente del Consiglio che si ostina a restare in sella nel momento in cui viene sfiduciato da una larga porzione dell'Italia reale. Consigli e sollecitazioni Berlusconi ne ha ricevuti di ogni tipo e da ogni parte, anche da persone che gli sono molto affezionate.

Ma forse l'argomento più serio è quello che meno lo commuove: quale sarà domani il destino dell'area moderata, del centrodestra che proprio il premier ha portato a rilevanti successi elettorali? Quale sarà il destino di questa Italia che ha votato Berlusconi per anni e che oggi si ritrova smarrita, timorosa di finire in una «repubblica dei giudici» o dei pubblici ministeri? Il futuro di questo mondo è ancora in parte nelle mani di Berlusconi, ma solo se egli saprà promuovere la svolta al più presto. E sappiamo che le novità politiche camminano sulle gambe degli uomini e sulle loro ambizioni. Finora ha prevalso quella concezione «proprietaria» del partito che è unica in tutto il mondo occidentale. Ma con ogni evidenza questo modo d'intendere il rapporto fra il leader e la sua creatura politica ha fatto il suo tempo. Ci sono esponenti del centrodestra che hanno lavorato in questi anni con sobrietà e misura nelle istituzioni: da Gianni Letta al presidente del Senato, Schifani.

C'è un giovane segretario, Alfano, lanciato proprio da Berlusconi ma poi lasciato senza veri poteri e senza uno spazio agibile. Forse c'è ancora tempo per cambiare la scena e i suoi protagonisti prima di pregiudicare il futuro di una vasta area politica e approfondire il disincanto e la frustrazioni di un cospicuo elettorato. Ma, inutile ripeterlo, occorre fare in fretta. Con o senza l'eventuale colpo parlamentare su Milanese. Tanto più che non è ragionevole voler accrescere le difficoltà già grandi del presidente della Repubblica, chiamato a gestire una crisi oscura senza punti di riferimento consolidati. C'è un'ipoteca sul futuro dell'Italia ed è bene che non sia solo il capo dello Stato a esserne consapevole.

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