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Questo articolo è stato pubblicato il 22 settembre 2011 alle ore 16:14.

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Ricie McCaw, il capitano degli All BlacksRicie McCaw, il capitano degli All Blacks

NELSON - D'accordo, è "solo" una partita del girone di qualificazione, tra due squadre sicure di passare il turno. In palio c'è comunque il primo posto nella pool A, che non è poco, perché consente di evitare ai quarti la prima della pool B (probabilmente l'Inghilterra). Ma questo Nuova Zelanda-Francia, in programma sabato all'Eden Park di Auckland, si carica di un significato ancora più importante.

Perché, se è vero che gli All Blacks vinsero il loro unico Mondiale nel 1987 battendo in finale proprio la squadra transalpina, è altrettanto vero che per due volte (nel 1999 e nel 2007, in semifinale e nei quarti) la Francia li ha estromessi dalla Coppa, mettendo a segno due rimonte memorabili e gettando nel lutto (sportivo) i supporter neozelandesi. Serve altro? E allora diciamo anche che i padroni di casa non perdono dal 1994 nello stadio "principe" del Mondiale e a batterli, guarda caso, furono i Bleus, di cui si ricorda una meta decisiva di Sadourny al termine di un'azione infinita: c'è chi dice che sia stata la meta più bella della storia del rugby, e potrebbe avere ragione.

Insomma, da queste parti c'è un po' di comprensibile francofobia. Succede ormai che tutte le squadre si allenino all'aperto ma su campi schermati da teloni che impediscono di guardare dall'esterno. Se può sembrare un'esagerazione, gli All Blacks hanno esagerato ancora un altro po': in settimana hanno tenuto segreta la sede di un allenamento a Christchurch (dove erano andati per portare la loro solidarietà alle vittime del terremoto dello scorso febbraio), allo scopo di evitare la presenza di spie. Gli abitanti del quartiere hanno mangiato la foglia e qualcuno si è goduto la vista dei suoi beniamini dal balcone di casa. «Fortunatamente per le speranze di vittoria del Paese - ironizzava ieri il quotidiano The Press - gli spettatori privi di autorizzazione non avevano accento francese».

Il sospetto, però, corre su un altro sentiero. Perché i tuttoneri manderanno in campo la loro migliore formazione (con il capitano Richie McCaw al rientro per conquistare la centesima presenza in Nazionale, un traguardo mai raggiunto prima da un giocatore neozelandese, e con Israel Dagg che sembra ormai sul punto di soppiantare Mils Muliaina nel ruolo di estremo). Invece la squadra annunciata da Marc Lievremont, il ct che alla fine dei Mondiali verrà comunque sostituito da Philippe Saint-André, presenta alcuni cambiamenti rispetto a quello che qui considerano il XV ideale. In più, ecco il coup de théatre. All'apertura giocherà… un mediano di mischia: Parra lascia il numero 9 a Yachvili e prende il numero 10 da Trinh-Duc. Che diavoleria ci sarà dietro? Ecco la domanda che infiamma il dibattito sui giornali. Parra, effettivamente, è nuovo del ruolo a questi livelli. Se non è un trucco, è una sorta di mancanza di rispetto, questo il ragionamento, cui seguono considerazioni di vario genere. E i francesi, che cosa dicono? Che pensano di avere scelto la squadra più competitiva del momento e che ci tengono a battere gli All Blacks, aggiungendo però che non è questo il match più importante. Di sicuro, è quello più atteso di tutta la fase a gironi e una sconfitta non sarebbe esattamente indolore. Ma il "caso" Parra sembra spostare ancora di più la pressione sugli All Blacks.

Come se ce ne fosse bisogno. In Nuova Zelanda l'attenzione della gente e dei media è concentrata sul Mondiale, l'evento sportivo più importante mai organizzato dalla nazione agli antipodi dell'Italia. La vittoria nella Rugby World Cup è una specie di ossessione. Il nero è il colore dominante, dalle auto sventolano bandierine con l'emblema della squadra di rugby più famosa del mondo e nella cattedrale di Saint Paul, a Wellington, è addirittura esposto un quadro raffigurante Gesù Cristo con la divisa degli All Blacks. Anche su questo si è cominciato a discutere. Qualcuno obietta sull'opportunità di mischiare sacro e profano, ma altri si interrogano su quale sarebbe stato il ruolo più adatto a Gesù: al momento, mediano di mischia e pilone si dividono le preferenze.

E mentre i social network hanno "preso possesso" anche di questa manifestazione, agli All Blacks è stato vietato di usare Twitter per rimanere più concentrati sull'unico obiettivo possibile. Nemmeno la cabala è stata risparmiata, se è vero che sulla nuova maglia della Adidas (messa in vendita in Nuova Zelanda a un prezzo molto più alto di quello che si trovava sui siti stranieri specializzati, con tutte le polemiche del caso) è ricomparso il colletto bianco sfoggiato nel 1987. L'anno del trionfo.

Intanto, sulla necessità del turnover - adottato per l'occasione dai francesi, sia pure in maniera non eccessiva - si possono riscontrare opinioni diverse. Prendiamo per esempio l'estremo azzurro Andrea Masi, che è l'unico, con Parisse e Benvenuti, a essere stato schierato dall'inizio sia contro l'Australia sia contro la Russia: «Io spero - dice - di giocare anche contro gli Usa martedì e domenica con l'Irlanda. Per quanto mi riguarda, penso che sia il modo migliore per mantenere la condizione». In effetti, la necessità di conquistare cinque punti in classifica (quattro per la vittoria e uno di bonus se si segnano almeno quattro mete) potrebbe indurre il ct Nick Mallett a cambiare un po' i piani, che prevedevano la squadra migliore contro Australia e Irlanda, con soluzioni alternative per gli altri due incontri. In questo modo, però, alcuni giocatori tornerebbero in campo dal primo minuto tre settimane dopo aver giocato una partita intera. Un fattore in più da considerare, mentre è finito il Mondiale del giovane Tommaso D'Apice, bloccato da una distorsione al ginocchio nell'incontro con la Russia, e il Sudafrica vanta ora la vittoria più larga ottenuta finora a NZ 2011: la Namibia è stata battuta 87-0.

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