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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2011 alle ore 08:48.

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FIRENZE - Lo ha annunciato per i prossimi giorni, anche se è già quasi pronto. Un «manifesto delle imprese, per salvare l'Italia». Emma Marcegaglia sintetizza i cinque punti: pensioni, dismissioni del patrimonio pubblico, liberalizzazioni e privatizzazioni, infrastrutture, fisco. «È un documento che non ha nulla per le imprese, lo presenteremo per l'Italia, perché il paese ha bisogno di una discontinuità forte per recuperare credibilità e crescere» e che sarà condiviso con le altre organizzazioni imprenditoriali.

Non interventi spot, ma riforme strutturali. E al governo manda un ultimatum: «se è disponibile a parlarne con noi, siamo pronti. Se invece vuole andare avanti con piccole cose, noi non siamo interessati. Vogliamo un cambiamento vero, altrimenti è inutile perdere tempo. Scindiamo le nostre responsabilità», sottinteso da quelle dell'esecutivo.

Riforme vere, quindi, oppure, senza risposte, l'inutilità sarà quella di presentarsi ai tavoli. È questo il mandato che è arrivato alla presidente di Confindustria dalle ultime riunioni: la scorsa settimana la consulta dei presidenti, l'altro ieri e ieri direttivo e giunta. Con gli imprenditori compatti nel rilanciare la linea della Marcegaglia. «Non tolleriamo più la situazione di stallo in cui non si fanno le grandi cose per la paura di scontentare una parte di elettorato oppure un alleato. Ci stiamo giocando il paese. Non possiamo vivacchiare e non possiamo stare fermi. Non lo tolleriamo più».

Applaude la plaeta degli industriali toscani, a Firenze, nella sede della Bassilichi, esempio di eccellenza italiana nei servizi in outsourcing. «Non è possibile che siamo considerati meno credibili della Spagna. Abbiamo un sistema manifatturiero più forte, un sistema bancario più forte. Quando vedo che ormai l'Italia ha uno spread tra Btp e Bund costantemente 40 punti più alto rispetto alla Spagna mi fa rabbia». Una situazione che rende più difficile e costoso per le banche finanziarsi e ricade sulle imprese come minore liquidità e denaro più caro. «Dobbiamo ricordarci chi siamo: siamo il secondo paese manifatturiero europeo, il secondo esportatore dopo la Germania, siamo un paese serio, ma che per alcuni motivi viene considerato meno credibile».

Bisogna uscire da questa situazione di crisi e di bassa crescita: «Fino a luglio c'erano prospettive di rilancio», ora le previsioni sono verso lo zero per il 2012. C'è un problema di leadership europea: «Dopo due anni non si è risolto il problema della Grecia, non ci può essere una moneta unica senza una politica comune e un bilancio federale. L'ultimo G7 si è concluso con un niente di fatto. Bisogna fare un salto in avanti, altrimenti ciò che abbiamo fatto finora rischia di non restare in piedi».

Ma c'è anche un problema italiano. «Sono d'accordo con il presidente della Repubblica, bisogna dire la verità». Né possiamo aspettare l'aiuto di qualcuno, della Germania: «non possiamo chiedere il loro aiuto se non facciamo i compiti a casa, se continuiamo ad andare in pensione a 58 anni mentre loro pensano di salire a 67».

Bisogna recuperare competitività e produttività. E su questo punto la Marcegaglia si è rivolta anche ai sindacati: nei giorni scorsi è stato firmato definitivamente l'accordo del 28 giugno su rappresentanza, erga omnes dei contratti aziendali, possibilità di modificare i contratti nazionali. «Se lo applicheremo con intelligenza porterà risultati». Ma la presidente di Confindustria si spinge oltre: «Non possiamo fermarci qui. Dobbiamo continuare a lavorare, senza steccati ideologici: c'è un problema di flessibilità, di incontro tra domanda e offerta di lavoro, di inserimento delle donne e dei giovani». Infine, un messaggio alla platea: «Confindustria continuerà ad essere una voce autonoma e indipendente, che non ha paure delle critiche».

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