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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2011 alle ore 08:13.
Il colpo di scena arriva davanti al Tribunale del riesame nell'udienza per le istanze di scarcerazione degli avvocati di Gianpaolo Tarantini e Valter Lavitola. La Procura di Napoli non solo torna a ribadire la competenza sull'inchiesta - ormai già trasferita a Roma, come ha deciso il gip Amelia Primavera qualche giorno fa - ma fa una nuova e clamorosa ipotesi. Alla luce degli atti dell'inchiesta sulle escort di Bari, dicono i pm, in alternativa al reato di estorsione ai danni di Silvio Berlusconi c'è un diverso profilo d'accusa: induzione a rendere dichiarazioni mendaci.
Il ragionamento dei pubblici ministeri Piscitelli, Woodcock e Curcio è questo: l'imprenditore pugliese ha dichiarato agli inquirenti di Bari e di Napoli che Berlusconi non sapeva che le donne portate alle feste ad Arcore erano escort e che le somme versategli dal presidente del Consiglio non erano frutto di un ricatto, ma un gesto di «liberalità» come lo ha definito il Cavaliere. Affermazioni che però favorirebbero Berlusconi sia sul piano processuale sia su quello pubblico e che, secondo i pm, potrebbero essere frutto di un piano preordinato, concordato probabilmente con la collaborazione di altri soggetti, per "intralciare" il normale percorso della giustizia in relazione al procedimento pugliese. Gli scenari prospettati da Gianpi, infatti, sono ritenuti dagli investigatori del tutto incompatibili con gli elementi acquisiti finora. Come, per esempio, le dichiarazioni di Marinella Brambilla e di Alfredo Pezzotti, segretaria e maggiordomo del premier, sul fastidio provato da Berlusconi di fronte alle continue richieste di denaro di Lavitola a favore di Tarantini. O la stessa ostinazione del Premier a non sedersi davanti ai magistrati pur essendo parte lesa nel procedimento. Scelta considerata dalla Procura ben poco convincente, se non altro.
Perciò, se il Tribunale del riesame ravvisasse l'ipotesi che Tarantini sia stato indotto a rendere dichiarazioni giudicate false i giudici potrebbero anche ipotizzare presunte responsabilità del premier invitando la Procura a procedere nei suoi confronti per l'ipotesi di reato prevista dall'art. 377bis del codice penale. L'induzione, appunto, «a non rendere dichiarazioni oppure a rendere dichiarazioni mendaci - recita il codice - deve essere compiuta ricorrendo a violenza (fisica o morale), minaccia, offerta di denaro o di altra utilità, promessa di denaro o di altra utilità».
Ed è proprio sull'aspetto economico della vicenda che la Procura contesta le ricostruzioni offerte da Berlusconi nella sua memoria scritta arrivando a configurare l'appannaggio da 20mila euro mensili per a Gianpi non certo come un sostegno economico a un amico, ma come lo stipendio «di un top-manager». Il violento colpo di coda dell'ufficio giudiziario partenopeo ha di fatto spostato l'attenzione dalla difesa (rappresentata dagli avvocati Ivan Filippelli, Gaetano Balice e Alessandro Diddi) all'accusa, anche rispetto alla richiesta dei pm al Tribunale di conservare la titolarità del fascicolo o, in subordine, di trasferirlo non già alla Procura di Roma, ma a quella di Lecce. Cioè ai pm che hanno iscritto nel registro degli indagati il procuratore di Bari, Antonio Laudati accusandolo di aver volontariamente rallentato o addirittura insabbiato l'inchiesta sulle escort.