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Questo articolo è stato pubblicato il 28 settembre 2011 alle ore 08:02.
L'ultima modifica è del 28 settembre 2011 alle ore 08:26.

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«Siate all'altezza delle vostre responsabilità!». Poche cose irritano i capi di governo dell'euro area quanto quel monito intimato ogni volta da Jean-Claude Trichet nel chiuso dei Consigli europei. Eppure c'è qualcosa che non torna nella versione convenzionale di questa crisi, secondo cui i cittadini dei paesi più virtuosi sarebbero contrari a una soluzione comune europea e questo paralizzerebbe i capi di governo.

I dati di Eurobarometro dicono che l'83% dei cittadini dell'area euro crede che la soluzione alla crisi sia il maggior coordinamento delle politiche economiche dei 17 paesi. Il 91% chiede più cooperazione tra gli Stati. Anche tedeschi e olandesi sono in linea: quattro su cinque vogliono una soluzione europea, mentre sono critici delle gestioni nazionali. Il partito tedesco più anti-europeo, il partito liberale, ha perso due terzi dei consensi da quando ha assunto una linea euro-fobica. A Berlino ha raccolto l'1,6% dei voti. Nel 2012 si svolgeranno le presidenziali in Francia e alcune importanti elezioni regionali in Germania.

Nel 2013 sarà il turno del voto federale. Merkel e Sarkozy dovranno presentarsi con una soluzione della crisi. Sanno che dovrà essere una soluzione comune, come chiedono i loro elettori.

Tuttavia, partiti, media e organi di giustizia, tre pilastri dei sistemi democratici, vivono di bacini di "clientela" nazionali. Nascondono l'agenda europea perché sfugge al loro controllo e limita le loro prerogative. Lo psicodramma in scena domani a Berlino per il voto sul fondo salva stati (Efsf), non riguarda l'Efsf - visto che l'opposizione garantisce l'approvazione - ma la tenuta della coalizione di governo. Ci dice cioè molto più dell'imbarazzo delle democrazie nazionali, che non dei problemi europei. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble, commentando l'ultima sentenza della Corte costituzionale tedesca, ha rotto il velo dell'ipocrisia: «I monopoli degli ordinamenti nazionali hanno raggiunto il confine dell'assurdo».

In questa prospettiva, la crisi nell'area euro appare per quello che è: una crisi delle politiche nazionali. L'inadeguatezza ha già portato a cambi di governo in Irlanda e Portogallo, al ritiro di Zapatero in Spagna e ai pressanti appelli in Italia a un passo indietro di Berlusconi. In Finlandia, Olanda e Germania ci sono problemi simmetrici: interessi (di partiti) minoritari tengono in ostaggio la volontà della maggioranza dei cittadini. I segnali che queste contraddizioni stiano risolvendosi una dopo l'altra si moltiplicano. Uno sguardo ottimista direbbe che quella che viviamo è una crisi di maturazione che porterà a risolvere insieme i problemi di oggi e le sfide future.

Ma qual è la soluzione europea a portata di mano? Da quando la crisi si è allargata a Spagna e Italia si sono studiate tre strade: l'acquisto di titoli su larga scala da parte della Bce; l'emissione di eurobonds; e l'allargamento del Fondo di stabilità (Efsf). La prima strada è molto accidentata come hanno dimostrato le dimissioni di Jürgen Stark. La seconda è stata sbarrata da Berlino che teme che senza differenziali di interesse tra i paesi si disarmi l'unico strumento di disciplina dei paesi indebitati. La terza strada non è meno difficile. L'Efsf ha un difetto di costruzione: più si allarga la sua dotazione dai 440 miliardi attuali più si restringe il numero dei paesi che possono contribuirvi. Portarlo a 1-2mila miliardi significa aumentare le perdite potenziali per la Francia che perderebbe la tripla-A e uscirebbe dal gruppo dei paesi creditori.

Per questa ragione si studia la possibilità di usare il capitale dell'Efsf - senza quindi aumentarlo - come base su cui un fondo o una banca possa fare "leva" e recuperare una quantità multipla di capitali. Il Trattato europeo - art. 123(2) - prevede che istituti di credito pubblici possano essere «controparti» della Bce, cioè finanziarsi presso di essa a fronte di collaterale. Ciò consentirebbe alla banca dell'Efsf di usare i capitali già disponibili per recuperare ampie risorse e acquistare titoli pubblici sul mercato secondario.

Datemi una leva e vi solleverò l'euro, dunque? No, non si tratta di un miracoloso rimedio archimedeo. Non cambia molto che i soldi siano presi in prestito anziché conferiti materialmente. I rischi restano gli stessi. Da giorni infatti i cds sul default della Germania aumentano. L'unico modo per avere successo passa di nuovo dalla politica: una volta individuata la soluzione tecnica adeguata, va sostenuta con la determinazione che sia risolutiva. Che sia cioè l'arma finale contro la paura dei mercati, fino a che ogni dubbio sul destino dell'euro sarà cessato. I mercati, come fanno in questi giorni, seguiranno la leadership della politica. E in tal caso l'Efsf guadagnerà molto anziché perdere. Allora il cerchio del consenso tra politica, Europa e cittadini si sarà finalmente chiuso. L'occasione è offerta dai vertici di ottobre. Se falliranno, le devastazioni non saranno solo finanziarie.

cbastasin@brookings.edu
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