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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2011 alle ore 07:42.

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ROMA. Silvio Berlusconi fa sapere di non essere interessato alla riforma della legge elettorale: «Non è materia sulla quale mi sto esercitando». Il premier si mostra indifferente al confronto apertosi anche nella maggioranza all'indomani della copiosa raccolta di firme per l'abolizione del Porcellum, bollando commenti e retroscena come «le solite chiacchiere del teatrino quotidiano della politica». Un po' quello che ribadisce Umberto Bossi, quando ci tiene a far sapere che tra i suoi ci sono troppi che «parlano a vanvera».

Il Cavaliere e il Senatur tentano di mettere le briglie a una parte sempre più estesa di Pdl e Lega che non vogliono rimanere travolti dal tramonto dei rispettivi leader. Le voci insistenti che vedrebbero avvicinarsi le elezioni anticipate, pur di evitare il referendum elettorale e la scomparsa del Porcellum, inquietano allo stesso modo tanto Berlusconi che Bossi. Il leader della Lega ieri a via Bellerio ha riunito come ogni lunedì lo stato maggiore del partito, compreso Roberto Maroni che ha smentito di essere a favore di uno scioglimento anticipato delle Camere: «Io mi riferivo esclusivamente al referendum, il resto sono retroscena infondati».

È un refrain che va di moda. È lo stesso adottato da Berlusconi, il quale nella nota di ieri assicura che sta continuando «a lavorare per portare l'Italia al riparo dall'attacco al nostro debito pubblico e fuori dalla crisi finanziaria globale». Del decreto per il rilancio della crescita però ancora c'è poco da dire. O meglio, da quel che si sa Berlusconi è alle prese ancora una volta con i malumori di mezzo governo. L'indice come al solito è puntato su Tremonti. Romani e Matteoli (rispettivamente ministri dello Sviluppo e delle Infrastrutture), sono sul piede di guerra così come il titolare della Difesa La Russa e lo stessso Maroni, tutti contro i tagli ai ministeri e pronti a dare battaglia.

«Lo presentereremo entro metà di questo mese», garantisce il Cavaliere a proposito del decreto. Ma per evitare di doversi barcamenare troppo, all'ultimo momento ha preferito dare forfait a Bruno Vespa, che aveva già preparato per domani sera il salotto bianco di Porta a porta. Troppo alto il rischio di non poter offrire risposte chiare e credibili su crescita e Bankitalia e di doversi invece difendere da eventuali domande sui suoi processi e sul rinvio a giudizio deciso ieri per Fede-Mora e Minetti accusati per il caso Ruby di prostituzione minorile. Il Cavaliere vorrebbe dire la sua verità, attaccare giudici e giornalisti, ribadire di essere l'uomo «più perseguitato» della storia. Ma il clima è cambiato e lo sa anche lui, visto che ha rinunciato a far comparire il suo nome sul simbolo della lista Pdl per il presidente del Molise Michele Iorio. «Sopraggiunti impegni del governo», è stata la motivazione con cui l'entourage del premier ha spiegato il rinvio dell'appuntamento con Vespa, il quale ci ha tenuto a far sapere che fino a due ore prima la presenza del premier era stata confermata.

Per giovedì è stato annunciato un vertice di maggioranza nel quale si dovrebbe prendere una decisione sul futuro governatore di Bankitalia e non solo. «Le riforme che mi interessano in questo momento sono quelle del fisco, della architettura istituzionale, della giustizia», dice Berlusconi, che dopo aver lamentato ancora una volta gli «inesistenti» poteri del premier, assicura di volersi dare da fare affinché in Parlamento la maggioranza lavori «presto e bene», auspicando anche il «contributo fattivo dalle opposizioni, se pensassero davvero al bene comune e non solo alla mia poltrona di premier». L'unico «contributo fattivo» sarà probabilmente sulla nomina attesa del giudice costituzionale che pare sarà Sergio Mattarella. Per il resto si andrà avanti come sempre. Anche perché la priorità questa settimana alla Camera sarà il Ddl intercettazioni, per il quale sono già stati mobilitati fino a venerdì tutti i deputati del Pdl. Non solo: per evitare sorprese il Governo potrebbe anche ricorrere alla fiducia.

«Ma fino a quando potremo andare avanti così?», si chiedeva retoricamente un deputato della Lega vicino a Maroni ma che, come altri suoi colleghi, per evitare la minaccia di espulsione già ventilata per il sindaco di Verona Tosi preferisce rimanere anonimo. Il salvataggio di Marco Milanese dall'arresto per corruzione, la fiducia al ministro Saverio Romano accusato di concorso in associazione mafiosa «e ora le intercettazioni...»: troppo per un partito che non riesce più a nascondere le divisioni interne e in cui l'ala che fa capo a Maroni prevale ormai un po' ovunque, dalla Valcamionica fino a Brescia in vista dell'appuntamento di domenica prossima a Varese, feudo del ministro dell'Interno ma anche di Bossi.

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