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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2011 alle ore 08:07.
L'ultima modifica è del 04 ottobre 2011 alle ore 07:40.
Ma il modo è nebuloso, dopo che i nomi dei due candidati sono stati messi in piazza quasi fossero concorrenti di uno show televisivo da premiare o punire con il televoto. Tutto appare piuttosto vago, legato a opache trattative politiche all'interno della maggioranza.
I protagonisti del duello restano Berlusconi e Tremonti, ma la Lega svolge il consueto ruolo d'interdizione: perciò risolvere il rebus richiede che in qualche misura si passi da Bossi, il quale può accentuare o sospendere il suo appoggio al candidato di Tremonti a seconda dell'aria che tira nel centrodestra. Al tempo stesso Berlusconi sa che la nomina di Saccomanni, l'uomo della continuità, sarebbe letta come una vittoria sua (e di Draghi) contro il ministro dell'Economia; mentre la scelta di Grilli apparirebbe a tutti un grande successo di Tremonti ai danni del premier e delle sue residue capacità di "leadership".
Comunque la si voglia giudicare la storia è malinconica, oltre che ingarbugliata. Testimonia della scarsa vitalità di una stagione politica in fase di esaurimento. E non sorprende che il presidente della Repubblica sia, a quanto è dato sapere, piuttosto preoccupato per lo stato generale delle cose. Del resto, la politica sembra vivere alla giornata e non solo per la questione della Banca d'Italia. L'idea di arrivare al 2013, termine naturale della legislatura, resta la bandiera di Berlusconi, ma può prendere corpo solo se la paralisi del quadro politico si prolunga nel tempo senza incrinature; se l'alleanza tra il premier e il capo della Lega continua a rivelarsi inossidabile; se nella maggioranza non si producono cedimenti. In tal caso avremmo una sorta di stabilità senza contenuti, un piccolo cabotaggio privo di ambizioni. A parte la legge sulle intercettazioni e altre iniziative difensive dello stesso calibro.
Altro che "legislatura costituente", come ha sostenuto Calderoli un po' a sorpresa. Altro che il programma di riforme rilanciato ieri dallo stesso Berlusconi, con il tono di chi annuncia l'inizio della campagna elettorale piuttosto che un progetto da offrire al Parlamento. Quello a cui il premier sembra credere poco è una riforma della legge elettorale fatta per aggirare il referendum: troppe difficoltà, troppe ambiguità, tanti rischi anche nel centrodestra. E poi c'è lo spirito, o se si vuole la retorica del bipolarismo da preservare. Di fatto quel milione e duecentomila firme raccolte per il referendum sono ormai protagoniste della vita politica, in attesa che si pronuncino la Corte di Cassazione, prima, e soprattutto la Consulta, poi. Ma già si capisce che ritoccare il cosiddetto "porcellum" per evitare la consultazione è alquanto velleitario, almeno oggi. Dare l'impressione di voler scavalcare con un sotterfugio la volontà popolare è autolesionistico.
C'è un solo modo per scansare il referendum, se sarà dichiarato ammissibile, ed è lo scioglimento delle Camere. Finora lo ha detto con chiarezza Casini, ma anche Maroni è parso andare nella stessa direzione, benché poi abbia corretto le sue frasi. Molti altri lo pensano e quando Berlusconi dichiara: "io non penso alla legge elettorale, ma solo ai problemi del paese" i sospetti sono legittimi. In sostanza il tema delle elezioni anticipate ha fatto il suo ingresso nel dibattito pubblico. Per ora è un'eventualità remota, mentre invece la paralisi quotidiana è un dato reale. Elezioni, se le circostanze lo permetteranno, come sola alternativa al "vivacchiare", laddove l'ipotesi di un esecutivo "tecnico" sembra tramontata perchè il paese non potrebbe sostenere altre tensioni, tanto meno il rischio di un governo fragile, ricattato dal Parlamento ed esposto a un possibile fallimento. Come sempre il capo dello Stato segue la situazione e analizza gli scenari possibili. Ma la parola spetta ai protagonisti politici e alle Camere.
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