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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 08:10.
L'ultima modifica è del 09 ottobre 2011 alle ore 13:48.

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Anche l'agenzia Fitch, dopo Standard & Poor's e Moody's, ha declassato ad A+ il rating del debito sovrano italiano. Ho già altra volta notato quanto ambigue siano nella loro natura e nelle loro valutazioni le agenzie di rating, ma tuttavia come influenzino i mercati e la speculazione finanziaria. Ebbene, la Spagna e la Francia, pur avendo entrambe un sistema bancario forse meno solido del nostro e, quanto alla prima, un tasso di disoccupazione ben superiore a quello italiano, godono entrambe di valutazioni ben migliori. La ragione non sembra dunque stare nei fondamentali dell'economia, quanto invece nella inaffidabilità e mancanza di credibilità e autorevolezza della nostra classe dirigente.

Vengono allora alla mente le lapidarie parole di Giacomo Leopardi, nelle pagine più che mai attuali del "Discorso sopra lo stato presente degli italiani" quando scriveva: «Le classi superiori d'Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano è il più cinico dei popolacci».

Insomma, la classe dirigente italiana non solo è ancora oggi troppo spesso cinica, ma senescente, individualista e incapace di ricambio, e pur con un'arroganza non scevra da violenze non solo verbali, tende ad attribuire ad altre classi, gruppi, o associazioni, l'origine dei mali e del disfacimento delle istituzioni del paese. D'esempio è oggi il movimento dell'antipolitica, pone questioni serie, ma ha il vizio di identificarsi in una autoqualificantesi buona e sana "società civile".

Ebbene, che "la casta" abbia dato prove di assoluta inadeguatezza, sovente ai limiti dell'illegalità e oltre, è purtroppo a giudizio del mondo intero, ma che il male stia solo nella politica, da sostituire di conseguenza con altre "classi superiori" è solo vergognoso e vuoto proclama di cecità. La corruzione, l'evasione fiscale, la mancanza totale di valori, l'individualismo che disprezza l'interesse generale fanno venir meno la "società stessa" come scriveva sempre Giacomo Leopardi. E nel diffuso egoismo ognuno insulta e predica con varie e abusate omelie. Ma la società civile sta nella politica e vive all'ombra di questo sistema; si ricordi quel che era solito dichiarare Vittorio Emanuele Orlando: "il Parlamento è lo specchio del Paese". L'attuale linea della maggioranza, che umilia la democrazia parlamentare a colpi continui di voti di fiducia farebbe rabbrividire Alexis De Tocqueville ed è semplicemente il frutto di un degrado generalizzato delle istituzioni, fortunatamente con evidenti e salde eccezioni.

L'arroganza, la volgarità e l'individualistica dissociazione dal bene comune appaiono ispirate ad una sorta di "cupio dissolvi" che non risparmia né la politica né la società civile. Le cronache quotidiane recenti rendono inutile riprendere le laceranti divisioni interne nelle maggioranze e nelle minoranze politiche, ma anche le schizofreniche divisioni nelle "società intermedie", come le chiamava Tocqueville, che sono poi il nerbo della democrazia. Così le divisioni sindacali, l'industria italiana per antonomasia che esce dalla Confindustria, l'incapacità persino di nominare in un tempo ragionevole il nuovo Governatore della Banca d'Italia, sono soltanto piccoli irriverenti esempi della crisi del Paese.

È ben vero poi che l'economia globale ha portato a profonde modifiche nel mercato del lavoro ed è altrettanto chiaro, come ha scritto il Nobel Michael Spence, che la concorrenza con i Paesi emergenti renderà le economie avanzate sempre più bisognose di una mano d'opera con alta preparazione culturale. La disoccupazione giovanile non può più essere addossata alle famiglie né risolta da chi, avvertendone il terribile disagio, predica invece da sempre austerità e tagli dei bilanci statali.

Alle giovani generazioni la politica e la società civile debbono garantire, con seri investimenti, un sistema di istruzione alla pari con quelli educativi più avanzati degli altri paesi. Nessun taglio alla scuola è compatibile con una seria ripresa non solo economica quanto anche di civiltà e di democrazia. L'impegno di ciascuno non sta in qualche vanitoso ricambio, ma nell'abbandono del cinico egoismo, dell'individualismo autoreferenziale, al fine del perseguimento, pur nelle situazioni particolari di ciascuno, della solidarietà e dell'interesse generale, che è poi il vero vantaggio anche del singolo.

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