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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2011 alle ore 06:40.

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Enrico CostaEnrico Costa

Paradossalmente, il clamoroso scivolone del governo sull'articolo 1 del Rendiconto generale dello Stato ha tolto le castagne dal fuoco a Silvio Berlusconi sul fronte delle intercettazioni, "costringendo" la maggioranza a rinviare a data da destinarsi il voto sul provvedimento (in programma da oggi in aula), senza bisogno di architettare vie d'uscita acrobatiche per evitare l'incognita della conta e il rischio di imboscate. L'annuncio ufficiale lo ha dato il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto: «A questo punto – ha assicurato - l'esame del testo verrà rinviato».

Un rinvio che in teoria lascia impregiudicata la trattativa in corso, anche se nessuno ci crede più, dentro e fuori la maggioranza. Nel frattempo, Pdl e Lega sono chiamati a una prova "di fiducia" ben più strategica per Berlusconi: il voto sulla «prescrizione breve» per gli incensurati, tassello indispensabile per stoppare il processo Mills prima che arrivi a sentenza e, quindi, un'eventuale condanna del premier per corruzione giudiziaria. Oggi, in commissione Giustizia al Senato, Pdl e Lega faranno fronte comune contro i 150 emendamenti dell'opposizione e licenzieranno il provvedimento per l'aula. La capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro chiede uno stop, sia sulle intercettazioni che sulla «prescrizione breve», perché quanto accaduto ieri alla Camera «ha un significato politico serio e grave». Ma Berlusconi non ci pensa proprio a fermare la corsa del suo salvacondotto nel processo Mills, che potrebbe diventare legge - promulgazione permettendo - a metà novembre.

Il rinvio del ddl intercettazioni era nell'aria da giorni. Ieri sera, a palazzo Chigi, si sarebbe dovuto discutere di come uscire dal cul de sac in cui ci si è infilati con la decisione di inasprire il testo approvato nell'estate del 2010 in commissione. Il blackout sulle intercettazioni e la previsione del carcere per i giornalisti hanno infatti allontanato la prospettiva di un accordo con il Terzo Polo e creato malumori persino nel centrodestra. Né le aperture del relatore Enrico Costa (Pdl) sul carcere e su altri punti sono servite ad accorciare le distanze, anche perché sul blackout informativo il Pdl non intende fare marcia indietro né potrebbe senza perdere la faccia. Tant'è che Roberto Rao (Udc) parla di «falsa trattativa».

In questo quadro, andare al voto sarebbe un rischio, anche perché il 70% delle votazioni sugli emendamenti è a scrutinio segreto, compreso quello finale. «La legge serve, ma le nostre priorità sono altre, per cui spero che il ddl venga ritirato al più presto» diceva ieri ai cronisti il capogruppo della Lega Nord alla Camera, Marco Reguzzoni, pochi minuti prima che in aula si consumasse la sconfitta del governo sul Rendiconto dello Stato. Nelle stesse ore, i centristi ribadivano il loro secco no alle «lusinghe» ricevute dal Pdl in questi giorni in cambio di un'astensione sul ddl. Ai centristi è stato persino chiesto di presentare una richiesta, un invito a una «pausa di riflessione», che avrebbe consentito a governo e maggioranza di giustificare ufficialmente lo stop con la volontà di cercare ancora una mediazione, anche se il provvedimento sarebbe finito probabilmente su un binario morto. Ma la proposta è stata rinviata al mittente.

Che fare, allora, di fronte al muro dell'opposizione e ai maldipancia di numerosi esponenti del centrodestra? La decisione era stata rinviata appunto al vertice di ieri sera, sconvocato dopo il voto sul Rendiconto dello Stato. «Andiamo in ordine sparso», confidava uno dei partecipanti. Linea dura, secondo Niccolò Ghedini («Rinviare? neanche per sogno. Si va avanti con il nostro testo» diceva prima dello scivolone del governo); trattativista, secondo il ministro della Giustizia Nitto Palma, contrario alla fiducia e favorevole a una serie di modifiche nonché a «un dibattito sereno». Fatto sta che già ieri mattina si dava per scontato che oggi, in aula, il ddl avrebbe fatto una breve comparsa e poi sarebbe stato rinviato con qualche scusa. Poi è arrivato lo scivolone sul Rendiconto generale dello Stato: una manna per il partito del rinvio e per Berlusconi, che ora pensa solo alla «prescrizione breve». «Stasera credo proprio che si dovrà ragionare d'altro» ironizzava in Transatlantico uno dei partecipanti al vertice mancato. E intanto tirava un sospiro di sollievo.

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