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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2011 alle ore 08:08.

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L'obiettivo è avere la maggioranza assoluta, raggiungere e superare quota 316, per mostrare al Capo dello Stato che questo governo è ancora in grado di andare avanti. Silvio Berlusconi ha appena finito di parlare che in Transatlantico si cominciano a fare i conti. Il discorso del premier ha deluso i frondisti, che fanno capo a Claudio Scajola. L'ex ministro dello Sviluppo ribadisce a voce alta che la fiducia al premier non è in discussione ma il timore che si fa largo a Palazzo Grazioli è che oggi possano verificarsi «assenze strategiche», 4-5 voti in meno che basterebbero a rendergli la vita difficile.

Per questo il premier si è mosso in prima persona, seguendo da vicino le mosse di Scajola: «un amico», un «protagonista importante» del Pdl, dice il premier, che smentisce l'esistenza di «trattative». Per evitare sorprese però ieri ha invitato a a Palazzo Grazioli Fabio Gava, il più duro degli scajoliani assieme a Giustina Destro, che qualcuno già avvicina alla possibile lista civica guidata da Luca Cordero di Montezemolo. Poi è stata nuovamente la volta di Scajola, a conferma di quanto Berlusconi tema eventuali fughe in avanti.

La minaccia del premier di un immediato ritorno al voto qualora il suo governo dovesse fallire, non è risultata troppo convincente. Anche perché ormai in molti, ben di più della fronda che fa capo a Scajola, si sono convinti che il Cavaliere abbia già fatto l'accordo con Bossi per andare alle urne la prossima primavera, in modo da poter sfruttare ancora una volta il Porcellum ed evitare il referendum. Una prospettiva che non piace quasi a nessuno, visto che secondo gli ultimi sondaggi il Pdl rischia di perdere un centinaio di deputati. «Sarebbe un suicidio politico», ripetono anche coloro che vengono definiti «fedelissimi» del premier. Ecco perché man mano che si va avanti si comincia a far strada l'idea che qualora Berlusconi dovesse cadere, non è affatto scontato che si vada alle elezioni: «Tempo dieci giorni e si fa un nuovo governo, che se guidato da Letta verrebbe appoggiato anche da noi», ammetteva ieri un ministro del Pdl.

La partita si giocherà fin dai prossimi giorni e avrà al centro il decreto sviluppo e la legge di stabilità. Berlusconi ieri ha detto che «il rigore dei conti non basta». Una frecciata a Tremonti, ma non sufficiente a rassicurare quanti più volte si sono sentiti dire che «Giulio non deciderà più tutto da solo», per poi ritrovarsi l'indomani con i testi dell'Economia già pronti per l'approvazione. Se ne è avuta la conferma anche ieri al Consiglio dei ministri, con Romani scagliatosi contro Tremonti per i tagli previsti dalla legge di stabilità, che il ministro Stefania Prestigiacomo ha già anticipato di non voler votare. La delicatezza del momento ha suggerito al premier di rinviare a dopo il voto di fiducia la decisione. Ma lo stesso si sta verificando sul decreto sviluppo definito da molti «l'ultima occasione». L'ex finiano, Adolfo Urso, l'ha detto chiaramente, annunciando che da dopodomani il suo voto non sarà scontato. Altri, sempre più numerosi, lo sussurrano. Ci sono poi mugugni per le promesse non rispettate. Nicola Cosentino, il potente coordinatore campano del Pdl, ieri ricordava che Berlusconi aveva promesso di fermare le ruspe per la demolizione delle case abusive: «I termini del condono vanno riaperti, ci metto un attimo a non far votare 20 deputati...» minacciava ieri non troppo velatamente, parlando con alcuni colleghi alla Camera.

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