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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2011 alle ore 16:26.

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Rugby, in Coppa del mondo semifinali da spettacoloRugby, in Coppa del mondo semifinali da spettacolo

Due giorni alla prima semifinale, nella Coppa del mondo del rugby. La manifestazione si sposta definitivamente ad Auckland, dove l'Eden Park ospiterà tutte le quattro partite che mancano (finale per il terzo posto compresa). Sabato scendono in campo Galles e Francia, domenica si affrontano Australia e Nuova Zelanda.

Le protagoniste sono, guarda caso, le stesse quattro squadre che arrivarono in semifinale nel 1987, prima edizione del Mondiale. E sono anche le formazioni più accreditate sul piano del rugby-spettacolo. Non si può certo avere la garanzia di assistere a match stupendi, dato che mai come in queste occasioni il risultato viene prima di tutto. Ma il potenziale per far vedere un gioco di prima qualità c'è tutto.

Per contro, sono uscite tre delle Nazionali che si affidano tradizionalmente a un comportamento più speculativo, vale a dire Inghilterra, Sudafrica e Argentina. Che non mancano di trequarti talentuosi ma si affidano prevalentemente a mischie ruvide e potenti e a calciatori di grande affidabilità. Non che le formazioni superstiti siano prive di forza e abilità negli avanti, che restano sempre il caposaldo di ogni team con ambizioni di vittoria. Ma l'inclinazione a un gioco di movimento è chiara e, sia pure in dosi diverse, si è vista anche nel corso di questo torneo.

Delle quattro ancora in lizza, la sorpresa è il Galles, che nell'ultimo Sei Nazioni non era andato oltre il quarto posto. Fin dall'inizio del Mondiale i Dragoni hanno mostrato uno stato di forma eccellente, al punto che è risultata ingiusta l'unica sconfitta subita (17-16 dal Sudafrica). Il ct Warren Gatland - neozelandese come i colleghi Graham Henry e Robbie Deans, che guidano rispettivamente gli All Blacks e l'Australia - ha scelto con successo la linea verde. Dopo che Matthew Rees è stato tagliato fuori da un infortunio, ha scelto come capitano Sam Warburton, terza linea di 23 anni che lo sta ripagando in pieno. E che ha come compagni di reparto Danny Lydiate (classe 1987) e il numero 8 Toby Faletau (classe 1990). Titolari fissi anche l'ala George North (appena diciannovenne, il più giovane di tutti), e il centro Jonathan Davies, ventitreenne. In più, tra Stephen Jones e James Hook, contendenti storici per il ruolo di mediano di apertura, l'head coach ha scelto il ventiquattrenne Rhys Priestland, poca esperienza e ottima gestione dei trequarti, che però salterà la semifinale a causa di problemi fisici. Verrà rimpiazzato dallo stesso Hook, che può essere usato anche come estremo, in alternativa a Lee Byrne. Ma per la maglia numero 15 Gatland ha trovato un'altra soluzione ancora: sia nel quarto di finale con l'Irlanda (vinto 22-10 al termine della partita più bella di questa fase) sia in semifinale il prescelto è Leigh Halfpenny, di anni 22.

La Francia dovrà opporsi a questo gruppo così fresco e vivace, e può darsi che faccia un pensiero a una partita giocata prevalentemente con la mischia. Ma non è difficile immaginare che all'occorrenza - con i trequarti che si ritrova, a partire dall'ala Vincent Clerc, che sembra in un fantastico momento di forma - potrà sempre scattare l'opzione per il rugby-champagne. La vittoria sull'Inghilterra, quasi umiliata nel primo tempo da una squadra rinata, dà nuove speranze alla squadra di Marc Lievremont, che sarà comunque licenziato alla fine di questo Mondiale. Quello sull'imprevedibilità del Bleus sarà anche un ritornello un po' monotono, ma corrisponde alla verità. Nello scorso fine settimana si è visto all'opera un XV di togliere l'iniziativa agli avversari e di imporsi senza discussioni: a farne le spese è stata l'Inghilterra.

Sul versante del derby di Oceania, l'Australia è la formazione che è arrivata ai quarti correndo i maggiori pericoli. Lo striminzito 11-9 sul Sudafrica è venuto per merito degli uomini in giallo, autori di una strenua difesa, ma anche per demerito degli Springboks, colpevoli di non aver saputo sfruttare - per un motivo o per l'altro - almeno cinque occasioni da meta. Il coraggio dei Wallabies ha colpito anche Michael Lynagh, l'apertura dell'Australia del primo titolo mondiale, nel 1991. «L'aspetto positivo di questa partita - ha detto subito dopo il match di Wellington - è che la squadra ha mostrato un grande cuore e anche la capacità di esprimere un rugby diverso dal solito. Non potendo giocare con la palla in mano, perché la palla l'avevano quasi sempre gli avversari, si è vista una grande difesa». Niente da dire, anche se il fatto di avere pochi palloni a disposizione è la conseguenza di una scarsa efficacia della mischia, che era stata già sopraffatta nella partita persa con l'Irlanda. Se Horwill e compagni non dovessero migliorare su questo specifico aspetto, il confronto con gli All Blacks sarebbe probabilmente segnato. Vedremo quali contromisure prenderà Robbie Deans, il "kiwi" che molti avrebbero voluto proprio sulla panchina della Nuova Zelanda al posto di Graham Henry. Il primo neozelandese a diventare ct degli australiani non è, oltretutto, un neozelandese qualsiasi: appartiene a una famiglia di Cantabrians (così si chiamano gli abitanti della regione di Canterbury, il cui capoluogo è Christchurch) che a suo tempo ha espresso un giocatore-mito: quel Bob Deans, pro-prozio di Robbie, che partecipò alla prima tournée degli All Blacks in Europa, nel 1905. Vennero definiti gli Originals, stupirono il mondo ovale e vinsero tutte le partite tranne una, quella con il Galles, che però - secondo quanto si narra - fu viziata da un caso clamoroso: Bob Deans segnò una meta non convalidata dall'arbitro, che arrivò sul punto della marcatura con colpevole ritardo, dopo che maliziose mani gallesi avevano trascinato all'indietro il trequarti in nero, riportandolo al di qua della linea di meta.

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