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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2011 alle ore 13:26.

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I poveri in Italia sono 8,3 milioni (il 13,8% dell'intera popolazione)I poveri in Italia sono 8,3 milioni (il 13,8% dell'intera popolazione)

Aumenta la povertà in Italia. Se nel 2009 le persone indigenti toccavano quota 7 milioni e 810mila unità, dodici mesi dopo sono salite a 8 milioni e 272mila, il 13,8% dell'intera popolazione: la fotografia è scattata dall'annuale rapporto Caritas-Fondazione Zancan, «Poveri di diritti», presentato stamane a Roma nella sede dell'università Gregoriana in occasione della Giornata mondiale contro la povertà.

«Alle persone che vivono in condizioni di povertà - lamentano i promotori dello studio - si pensa solo in termini di insufficienti risorse economiche, ignorando che esiste tutta una serie di altre privazioni che peggiorano lo stato di precarietà e ne impediscono il superamento. Il diritto alla casa, al lavoro, alla famiglia, all'alimentazione, alla salute, all'educazione, alla giustizia sono i primi a essere messi in discussione e negati».

Il quadro della povertà
Nel corso degli ultimi 4-5 anni sono fortemente aumentate le situazioni di povertà materiale. Le donne e i giovani pagano il prezzo più alto. In quattro anni, dal 2007 al 2010, sono aumentate dell'80,8% le richieste di aiuto economico rivolte ai Centri di Ascolto delle Caritas Diocesane. Sono anche aumentate del 19,8% le persone che si rivolgono ai Centri di ascolto Caritas, con un incremento degli italiani del 42,5 per cento. Il 70 per cento delle persone che si rivolgono ai Centri di ascolto sono stranieri. I "nuovi poveri", ossia gli italiani che pur risiedendo in una casa e possedendo un lavoro, sono aumentati del 13,8 per cento in quattro anni e del 74 per cento nel Mezzogiorno. Il 20 per cento ha meno di 35 anni. In soli cinque anni, dal 2005 al 2010, il numero di giovani è aumentato del 59,6 per cento. Tra questi il 76,1 per cento non studia e non lavora, percentuale che nel 2005 era del 70 per cento.

La denuncia e le proposte
Secondo lo studio poi i soldi pubblici spesi per contrastare la povertà «sono spesi male e danno scarsi risultati». In base agli ultimi dati disponibili (relativi al 2008), la spesa assistenziale dei comuni è aumentata del 4%, quella per la povertà dell'1,5% e quella per il disagio economico del 18%; il 31% dei 111,35 euro procapite di spesa sociale è destinato a dare risposte a persone povere o con disagio economico. Tuttavia, «gli enti locali continuano a investire tante risorse assistenzialistiche nel contrasto alla povertà ma con scarsi risultati».

Le attuali politiche contro la povertà «non sono riuscite a incidere sul fenomeno. Serve un netto cambiamento di rotta». In particolare, va incrementato il rendimento della spesa sociale e recuperati i crediti di solidarietà, basati sull'erogazione di finanziamenti a favore di persone che si impegnano effettivamente in progetti di sviluppo locale, destinandoli a occupazione di welfare a servizio dei poveri. Il rapporto suggerisce che un modo per aumentare il rendimento della spesa sociale è la «professionalizzazione dell'aiuto». A oggi, viene evidenziato, gli oltre 100 miliardi di euro di raccolta fiscale destinati ai servizi sanitari sono trasformati in centinaia di migliaia di posti di lavoro; se questo fosse applicato alla spesa per servizi sociali, si potrebbe ipotizzare un risultato occupazionale di altrettante migliaia di posti di lavoro di cura; molte donne e giovani sarebbe occupati lavorando a servizio degli altri.

Un'altra fonte di risorse riguarda i 17-18 miliardi di euro oggi destinati alle indennità di accompagnamento e assegni familiari. Questi potrebbero essere investiti in lavoro di servizio garantendo ai beneficiari un rendimento superiore a quello attuale.

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