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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2011 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2011 alle ore 07:40.

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(LaPresse)(LaPresse)

Non è del tutto chiaro se la linea dura annunciata in Parlamento dal ministro dell'Interno, Maroni, sia frutto di una seria riflessione sulla battaglia di Roma e sul bilancio disastroso di un giorno di follia, oppure rappresenti il tentativo un po' affannoso di uscire da una situazione di difficoltà. Alcune proposte, come quella sulla 'garanzia patrimoniale' che i manifestanti dovrebbero versare in via preventiva, a mo' di cauzione, per acquisire il diritto di andare in piazza, ha un profilo talmente cervellotico da rendere certa una sola cosa: che non sarà mai approvata e di conseguenza mai messa in pratica.

È una di quelle tipiche uscite a effetto che lasciano pensare che dietro ci sia molta improvvisazione. Tuttavia Maroni è persona seria, ha parlato nella sua veste di responsabile dell'ordine pubblico e dunque le sue parole vanno pesate con attenzione.
Il ministro si è lamentato per i tagli alle forze di polizia. Ha ragione, ma forse avrebbe dovuto protestare in precedenza e nelle sedi opportune. Ora è senza dubbio più complicato reintegrare i bilanci dimagriti e le risorse falcidiate. Secondo punto, più delicato: Maroni ha in sostanza chiesto la revisione della legislazione ordinaria, sostenendo in modo esplicito che le forze dell'ordine avrebbero le mani legate nei confronti dei violenti, a meno che questi ultimi non abbiano già commesso qualche reato. In altre parole, sul piano della prevenzione si può fare poco o nulla.

Nel merito la tesi del Viminale è apparsa un po' zoppicante. Presa alla lettera, vorrebbe dire che polizia e carabinieri sono impotenti per definizione. Ma se così fosse, verrebbe da domandarsi perché Maroni e il governo di cui il ministro fa parte non si sono impegnati già da anni a cambiare lo 'status quo'. La realtà è un po' diversa da quella rappresentata ieri. Le leggi in vigore, ad esempio, vietano di coprirsi il volto con fazzoletti o caschi. Basterebbe questo per autorizzare le forze dell'ordine a intervenire: anche e soprattutto prima che siano commessi reati. Tuttavia, per entrare in un corteo già formato e farvi rispettare la legge, sfidando l'ira dei dimostranti, occorre molto coraggio.

Sono necessari reparti super-addestrati e sicuramente numerosi. Proprio quello che a Roma è mancato. A causa dei tagli di bilancio, dice Maroni. Può darsi che abbia ragione, peccato che non se ne sia reso conto tempo addietro. Del resto, se il punto fosse che gli agenti possono agire solo dopo che è stato commesso un reato, non si capisce perché gli arrestati di Roma sono solo dodici, a fronte di un'attività delinquenziale che si è protratta per ore e ha visto all'opera centinaia o addirittura migliaia di estremisti.
Tutto questo per dire che l'idea delle 'leggi speciali', qualunque cosa voglia dire, non sembra destinata a fare molta strada (altro è il discorso sul cosiddetto 'daspo', come si usa negli stadi per neutralizzare gli ultras). È indubbio però che c'è il desiderio di mostrare alla pubblica opinione il volto severo dello Stato.

E questo desiderio diventerebbe un impulso irresistibile se in Val di Susa, domenica prossima, si ripetessero gli episodi di guerriglia. E non sarebbe la prima volta. Non bisogna peraltro sottovalutare il risvolto politico della linea dura maroniana. Egli si è ritrovato a fianco Di Pietro, che ha subito ripescato la sua anima di uomo d'ordine. Il capo dell'Italia dei valori è a sinistra su tante cose, ma sui temi della sicurezza ci tiene a rispolverare il suo passato di poliziotto prima ancora che di magistrato. Un procedere a zig-zag, alquanto imprevedibile, che rischia di spiazzare una volta di più il Partito democratico.

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