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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2011 alle ore 07:33.
L'ultima modifica è del 21 ottobre 2011 alle ore 07:40.

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Come si usa dire, tutto è bene quel che finisce bene. La scelta del vicedirettore generale Ignazio Visco è piaciuta a quasi tutto l'arco politico, con l'eccezione di Bossi. E soprattutto è apprezzata dalla Banca d'Italia, da cui ancora ieri pomeriggio erano trapelate indiscrezioni infastidite che denunciavano la «gestione spiacevole» dell'intero affare. Il nome di Visco, emerso un po' a sorpresa dopo l'incontro fra Napolitano e Berlusconi, ha spazzato via le nubi. Sarebbe accaduto lo stesso con Saccomanni, il candidato «ufficiale» dell'istituto, purtroppo logorato dalla lunga contesa. Ma tant'è.

Resta l'amarezza per come è stata condotta la successione a Draghi. «Una vicenda triste» l'ha definita Mario Monti ieri sera a «Otto e mezzo». Una vicenda, si potrebbe aggiungere, in cui sono emersi i limiti di chi aveva la responsabilità di scegliere e si è barcamenato un po' troppo.

Del resto, l'impossibilità di decidere, la tendenza a farsi imprigionare dai veti reciproci e dai ricatti più o meno espliciti, è una caratteristica negativa del sistema a ogni livello. Stavolta l'impotenza decisionale ha coinvolto la Banca d'Italia e ha rischiato di metterne in gioco il prestigio e la tradizione.

Nessuno dei candidati dati in pasto alle polemiche per mesi meritava un simile trattamento. E senza dubbio il governo di Roma ha perso un'occasione. Poteva offrire all'Europa un segno immediato di solidità e di coesione dopo la nomina di Mario Draghi alla Bce (evento in sé quasi miracoloso, che l'Italia dovrebbe vivere come un potente stimolo a recuperare credibilità). Invece si è perso tempo.

Comunque sia, ora si volta pagina. L'istituto di via Nazionale agirà in perfetta sintonia con la Banca centrale europea, grazie anche all'affinità personale fra chi guida la politica monetaria da Francoforte e chi è a Roma, a Palazzo Koch. Si deve registrare peraltro l'applauso trasversale che ha salutato Visco, dal Pdl al Pd passando per le forze dell'opposizione «centrista». Non accade tutti i giorni nell'Italia di oggi, come sappiamo: anche se sulla nomina del governatore della Banca d'Italia è sempre stato dovere istituzionale cercare un consenso il più ampio possibile.

Ma ormai nulla è scontato, come ha dimostrato una lotta di potere all'interno del governo di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.
Senza dubbio il ruolo del presidente della Repubblica è stato attivo, fatto di consigli a Berlusconi e di un sostanziale ausilio nella scelta. Diciamo che Napolitano ha aiutato il premier a non sbagliare, a non uscire dal seminato. Un passo per volta lo ha guidato verso l'opzione più opportuna. E senza nulla togliere alla responsabilità del presidente del Consiglio, è abbastanza evidente che il nome di Ignazio Visco è il prodotto finale di un percorso condiviso fra Palazzo Chigi e Quirinale. Quasi una diarchia, si potrebbe dire. Sono stati via via smussati gli angoli delle incomprensioni, cancellati i risentimenti e i desideri di rivalsa, e alla fine il risultato è buono.
Anche la questione del rapporto con la Francia è stata ricondotta alle sue esatte proporzioni. Benchè non ne abbia l'obbligo formale, Bini Smaghi ha già da tempo preso l'impegno di dimettersi dal Comitato esecutivo della Bce perché non è plausibile che l'Italia sia sovradimensionata a detrimento di Parigi. Quindi Sarkozy non avrà motivo di dubitare della lealtà dell'Italia. Tanto più che le opportunità per compensare Bini Smaghi del suo sacrificio - che tale è in effetti - non mancheranno nelle prossime settimane. Anche in questo caso, e sempre dietro le quinte, si può presumere che Napolitano farà del suo meglio per facilitare la soluzione del rebus.

Ieri il presidente della Repubblica ha avuto una serie di telefonate con i leader europei. Ha parlato tra l'altro con la cancelliera tedesca, Angela Merkel. Alla vigilia di un passaggio cruciale per le sorti della moneta unica (non uno, ma ben due vertici previsti nel giro di una settimana), è evidente che il capo dello Stato vuole puntellare e consolidare la credibilità complessiva della posizione italiana. Le polemiche contro l'asse privilegiato fra Berlino e Parigi lasciano il tempo che trovano se non si accompagnano alla serietà dei comportamenti politici.
Quindi c'è un filo sottile, quasi invisibile, che lega la nomina alla Banca d'Italia e gli appuntamenti europei di questi giorni. Sono altrettante occasioni in cui l'Italia è chiamata a mostrare la propria affidabilità. Sta cominciando una stagione decisiva per il destino comune dell'«eurozona». Ed è indispensabile che il nostro paese sfrutti bene le sue carte, con piena consapevolezza della posta in gioco.

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