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Questo articolo è stato pubblicato il 20 ottobre 2011 alle ore 06:36.

di Rossella Bocciarelli
FRANCOFORTE - «Non ne so nulla. Non posso parlare». Lorenzo Bini Smaghi, esponente italiano del board della Bce non ha proprio voglia di parlare di quei rumors che rimbalzano da Roma secondo i quali il presidente del consiglio sarebbe intenzionato a fare il suo nome nella "lettera" che partirà quest'oggi, indirizzata al Consiglio superiore della Banca d'Italia, a cui spetta per legge un motivato e obbligatorio parere, prima che la nomina del successore di Mario Draghi alla guida di via Nazionale sia perfezionata.

Così, dribbla i giornalisti e si mette tranquillamente a chiacchierare, nei saloni dell'Alte Oper con quello che oggi appare come il suo principale avversario nella gara per la poltrona di numero uno a Banca d'Italia e una volta era il suo direttore a via Nazionale: Fabrizio Saccomanni. «Abbiamo parlato delle mogli» dirà poi Saccomanni.

Ma la prima informazione, ieri mattina, l'ha data a Roma il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi chiarendo che «domani (oggi per chi legge, ndr) parte la lettera». Segno che una procedura si sta mettendo in moto: ieri mattina, infatti, Berlusconi accompagnato da Gianni Letta è salito al Quirinale e ha insistito sul nome di Bini Smaghi come candidato «meno divisivo». Anche se il Capo dello Stato avrebbe espresso i suoi timori di turbare la serenità di un'istituzione come Bankitalia che ha sempre fatto quadrato su un'ipotesi di continuità di gestione per la successione a Draghi.

Per Berlusconi l'opzione Bini Smaghi avrebbe il pregio di risolvere la "querelle" sorta con la Francia per il seggio all'interno del consiglio della Bce. Nicolas Sarkozy si aspetta infatti che entro il 1° novembre il componente italiano annunci la sua intenzione di lasciare, facendo spazio a un francese. Un aspetto, quello della ragion di stato, che ieri è stato sottolineato anche dall'ex presidente del Consiglio, Romano Prodi. «Penso che domani avremo il nome del nuovo governatore della Banca d'Italia perché altrimenti l'indicazione la darà Nicolas Sarkozy. Bisogna sbrigarsi».

Contro la candidatura Saccomanni, che continua comunque ad essere in corsa, avrebbe continuato a pesare l'irriducibile contrarietà del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Non a caso anche ieri per bocca del leader della Lega Umberto Bossi è stata riproposta con forza la candidatura del direttore generale del ministero dell'Economia Vittorio Grilli, forse esibita a questo punto soprattutto per contrastare il candidato espresso da Bankitalia.

Non è da escludere tuttavia che nel rush finale di questa lunga, complicata e confusa partita emerga l'outsider: ieri sera si parlava ancora di chance per il vicedirettore generale Ignazio Visco (uomo del dialogo fra Banca d'Italia e Tesoro) o per l'altro esponente del direttorio Anna Maria Tarantola (il "controllore" delle banche).

Forti proteste per non essere stati nemmeno ascoltati al momento di definire la successione sono arrivate, poi, tanto dal leader del Pd Pierluigi Bersani quanto dal segretario dell'Udc Pierferdinando Casini (si veda pezzo in pagina).

Appare improbabile, in ogni caso, che la seduta straordinaria del Consiglio Superiore della Banca, che dovrà dare il suo parere obbligatorio ma non vincolante, possa essere convocata in anticipo rispetto all'appuntamento di lunedì prossimo.

Per quella data, infatti, il Governatore Mario Draghi ha convocato il Consiglio in seduta ordinaria e, in caso di avvio dell'iter di nomina per il nuovo Governatore, l'organismo parte della governance della banca terrebbe anche la seduta straordinaria, presieduta dal consigliere anziano Paolo Blasi, per dare il parere per il quale è sufficiente una maggioranza di due terzi.

In teoria il Consiglio Superiore potrebbe esprimersi, secondo un'autorevole fonte, anche su una rosa di nomi nel caso in cui il Governo non riuscisse a sciogliere il nodo tra i vari candidati emersi in questi mesi e presentasse una lista con più nominativi. In quel caso, però, verrebbe dato al Consiglio Superiore una sorta di potere di scelta che la legge non prevede.

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