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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2011 alle ore 09:35.

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Ancora una volta è la Germania a dettare i tempi della crisi del debito in Europa. Se i governanti della zona euro sono costretti a due riunioni in quattro giorni, tra domenica e mercoledì, è perché Berlino così ha chiesto. Come ha confermato ieri un portavoce del cancelliere, Angela Merkel deve informare il Parlamento prima di poter approvare una eventuale modifica del fondo di stabilità Efsf.

Al centro dei colloqui questo fine settimana è proprio un potenziamento del fondo, ratificato dal Bundestag in settembre dopo un lungo tira-e-molla. Agli occhi di molti osservatori la pretesa tedesca è un altro esempio di un rinnovato nazionalismo, l'ennesima occasione in cui l'interesse intergovernativo ha la meglio sul metodo comunitario. Eppure la signora Merkel non poteva fare altrimenti.

La sentenza di inizio settembre, con la quale la Corte costituzionale di Karlsruhe ha respinto i ricorsi contro la nascita dell'Efsf, è particolarmente esplicita. Fin tanto che la rappresentanza democratica ha basi nazionali, e non europee, è legittimo che il Parlamento a Berlino abbia diritto d'intervento. «Il Bundestag - spiega la Corte - non può partecipare alla creazione di meccanismi permanenti che attraverso accordi internazionali comportino l'assunzione di passività per decisioni volontarie di altri Stati, soprattutto se hanno un impatto difficile da calcolare».

L'aggettivo «volontario» apre la porta all'idea che la Germania cambi idea (accetti per esempio gli eurobond) in cambio di una riduzione delle sovranità nazionali. La crisi del debito ha messo in luce i limiti del governo europeo; e non solo perché non è stato possibile finora indurre la Grecia a introdurre privatizzazioni o liberalizzazioni in cambio di generosi aiuti finanziari. Il principio stesso dell'unanimità ha fatto il suo tempo; la lezione di questi mesi è che le scelte devono essere prese a maggioranza per evitare un iter decisionale lungo, contorto e inefficace. La Germania, o almeno una parte della Germania, lo ha capito. Qualche giorno fa il banchiere centrale Jürgen Stark ha spiegato: «Abbiamo bisogno di una vera unione economica, di un'unione politica, di una vera unione politica in Europa».

La stessa signora Merkel appoggia l'idea di un commissario europeo ai conti pubblici, con poteri sanzionatori. I più scettici potrebbero pensare che la Germania sia pronta ad accettare un abbandono di sovranità per gli altri Paesi membri della zona euro; non per se stessa. È possibile. Eppure, ieri a Bolzano, durante gli incontri tra Confindustria e l'organizzazione imprenditoriale Bdi, il messaggio tedesco è stato chiaro. La salvaguardia dell'euro è l'obiettivo primario dell'establishment economico in Germania. Migliorare l'assetto istituzionale della zona euro passa per una riduzione della sovranità, ma questo sarà accettabile solo se il percorso istituzionale sarà serio e credibile. Non è una partita che si chiuderà a breve, ma il giudizio da dare ai vertici di questi giorni non potrà non tenere conto (anche) di questa novità.

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