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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2011 alle ore 06:38.

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Islamici senza rivali in Tunisia. Nella foto sostenitori di Ennahda accolgono con soddisfazione i primi risultati del voto che vede in testa il partito islamico (AP Photo)Islamici senza rivali in Tunisia. Nella foto sostenitori di Ennahda accolgono con soddisfazione i primi risultati del voto che vede in testa il partito islamico (AP Photo)

Difficile cogliere in fallo gli islamici di Ennahda, dialettici ancora più sottili di quelli dell'Akp turco e dei Fratelli Musulmani egiziani. Mouad Gannouchi, figlio di Rashid, fondatore del movimento, responsabile dei rapporti con i media, elenca metodicamente i principi del partito che ha vinto le elezioni per l'assemblea costituente, primo test per la Tunisia del dopo Ben Ali e della Primavera araba: «Democrazia, uguaglianza tra i sessi, libertà di coscienza e di espressione, giustizia per tutti». È un momento storico: per la prima volta nel Maghreb vince un partito islamico, se si esclude il Fis algerino nel dicembre '91, spazzato via un mese dopo dal colpo di stato dei generali e dalla lunga e cupa stagione dei massacri.

Ha assorbito bene la lezione paterna e della storia questo giovane pallido, con un filo di barba appena accennato: «Per festeggiare aspettiamo i risultati ufficiali, abbiamo superato almeno il 30%», conferma Mouad con prudenza. La vittoria - intorno al 40% secondo alcune proiezioni, inferiore alla maggioranza assoluta - tiene comunque a distanza i laici, una dozzina di partiti dove nessuno avrebbe superato la soglia del 20%, in una tornata elettorale con una partecipazione ordinata e commovente che ha fatto apparire ancora più anacronistica la dittatura benalista con il suo stato di polizia e le elezioni truccate.

Islamici sì ma moderati, è la parola d'ordine per non spaventare l'opinione pubblica di un Paese dove il padre della patria Bourghiba, come Ataturk in Turchia, aveva nettamente separato la religione dallo stato: «Ci collochiamo in un'area vicina all'Akp di Erdogan», sottolinea Mouad Gannouchi, che con un largo sorriso accoglie alla sede del partito, scintillante palazzo di otto piani nel quartiere bene di MontPlasir, ragazze truccate e senza velo.

Vogliono essere rassicuranti anche fuori i capi di Ennahda: «Garantiamo agli uomini d'affari stranieri che i loro interessi saranno preservati», dice Abdel Hamid Jelassi, che parla al microfono accompagnato da una colonna sonora dove l'inno nazionale si mescola ai canti religiosi. E aggiunge: «Siamo pronti a collaborare con tutti i partiti della Costituente».

Ennahda ha già interessi consistenti da difendere. Partendo da una periferia borghese di Londra, Rashid Gannouchi ha costituito una rete internazionale diventando il numero due di Yusuf Qardawi, il predicatore musulmano più influente con i suoi sermoni su Al-Jazeera, che otto mesi fa lanciò una fatwa per uccidere Gheddafi. Ed è stato questo legame con Qardawi a far affluire i finanziamenti del Qatar e delle monarchie del Golfo che ora pretendono garanzie politiche per investire nella rivoluzione dei gelsomini.

Le ragioni di questa vittoria, facilitata da un fronte laico frammentato al quale non è bastato il sostegno dei media, le elenca il carismatico Abdel Fattah Mourou: «Con Gannouchi siamo amici dall'età di 17 anni, Ennahda ha vinto perché è all'opposizione da 25 anni durante i quali sono stati incarcerati 30mila militanti e altri 30mila mandati in esilio. Ennahda è stata la maggiore vittima politica di Ben Ali. Questo la gente lo sa. Non solo, gli altri partiti hanno polarizzato la campagna insistendo sul laicismo: i tunisini sono dei moderati ma attaccati profondamente alla loro identità musulmana».

Mourou, sceicco e co-fondatore del movimento, è un principe del foro, il penalista tunisino più celebre, che ha patrocinato persino Hedi Jilani, pilastro del vecchio regime, ex capo della Confindustria locale, nella causa per scongelare i beni sequestrati dopo la caduta di Ben Ali. Conosce il Paese come le sue tasche, forse Gannouchi lo chiamerà al Governo. «Non è ancora chiaro - dice - se Ennahda, dopo la Costituente, proverà a formare una coalizione ma credo che dovrebbe scegliere un Governo di unità nazionale: non condividere le responsabilità sarebbe una scelta sbagliata».

Uno scenario impensabile comunque un anno fa quando Ben Ali, alleato indiscusso dell'Occidente, appariva saldamente al comando: era considerato un bastione contro l'islamismo ma è stato proprio lui, con una politica repressiva senza alternative, a spianare la strada a Ennahda, per ora in versione light rispetto al passato. Una parabola che oggi riguarda la Tunisia e un domani assai prossimo Egitto, Libia e oltre: benvenuti nella nuova sponda Sud.

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