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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2011 alle ore 08:50.
L'ultima modifica è del 27 ottobre 2011 alle ore 08:53.

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Da molti mesi il tema dell'Europa è quotidianamente presente e dominante nella comunicazione politica, nell'informazione economica, nell'attenzione dei cittadini e delle famiglie, in tutti i nostri paesi. Vi è presente e dominante in termini critici, per le preoccupazioni via via cresciute in ordine alle incertezze del vivere quotidiano e al nostro comune futuro e destino.

Ma anche così si è diffusa come forse mai nel passato la percezione di quel che ci lega, che lega le nostre società e le nostre persone in tutta l'Europa via via unitasi in un inedito processo di integrazione democratica. Dopo più di mezzo secolo di unità e di continui progressi, occorre ragionare ora, in un rapporto chiaro e convincente con i cittadini, sulla crisi che ha investito l'Eurozona, e offrire risposte persuasive. C'è, in sostanza, da render chiaro qual è la posta in giuoco per il nostro continente.

Ho il massimo rispetto per lo sforzo che affrontano, per i dilemmi dinanzi ai quali si trovano da quando una grave crisi ha investito l'Eurozona, i capi di governo, i massimi responsabili delle istituzioni dell'Unione, i policy-makers che partecipano alla formazione delle decisioni.

Per l'Europa, la questione si pone in termini peculiari: cioè anche come questione interna allo sviluppo del processo d'integrazione da noi finora portato avanti, nel senso che dobbiamo adottare revisioni e rafforzamenti di un sistema già operante di regole e di istituzioni comuni.

È attorno a questa acuta esigenza che ruota la discussione, così problematica e serrata, suscitata nell'Unione Europea, nell'Eurozona e nelle diverse sue espressioni istituzionali, dalla crisi greca, da quelle irlandese e portoghese, ma anche dalle tensioni e dai rischi che hanno investito la Spagna e l'Italia in termini di crisi del debito sovrano. A ciò si è reagito e si sta reagendo, da parte delle istituzioni europee e dei governi nazionali, con misure straordinarie e con rilevanti innovazioni. Ed è da apprezzarsi il contributo che è venuto e viene dalla Banca Centrale Europea, anche riempiendo qualche vuoto politico-istituzionale.

Quando oggi diciamo con tanta forza - tutti quelli tra noi che hanno ruoli istituzionali e di governo nell'Unione - che l'Euro è pilastro irrinunciabile dell'Europa unita, ci riferiamo innanzitutto al valore storico della sua introduzione nello spirito di una Europa federale. Il vero nodo è costituito dal rapporto tra unione monetaria e unione politica. Solo avanzando in questa direzione si possono garantire principi, valori e obbiettivi che stanno a cuore a noi tutti: stabilità finanziaria, corresponsabilità e solidarietà, crescita competitiva dell'economia europea nel suo complesso secondo quella visione che un anno fa qui il Cancelliere Signora Merkel ha rivendicato con accenti appassionati come modello proprio dell'Europa unita.

Ma non è venuto allora il momento di riconoscere che dinanzi alla crisi della Grecia e dell'Eurozona si sono nei mesi scorsi manifestate in certi paesi esitazioni e resistenze che hanno dato il senso di un oscurarsi del principio di solidarietà? Non è venuto il momento di superare di superare persistenti riserve dinanzi all'adozione di norme e mezzi efficaci al fine di perseguire una comune strategia di sviluppo? E parlo di quella che la Commissione ha proposto per il 2020 ma di cui occorre garantire l'efficacia vincolante, l'effettiva attuazione. E come si può non vedere la contraddizione insuperabile tra l'esigenza di un balzo in avanti nel processo di integrazione, nella assertività e nella capacità realizzatrice dell'Europa unita, e un approccio restrittivo alla prova delle prospettive finanziarie dell'Unione per il periodo 2014-2020? Queste domande dovremmo, tutti, rivolgerle a noi stessi.

Sia chiaro ciascuno Stato nazionale membro dell'Eurozona deve fare la sua parte, assumersi fino in fondo le sue responsabilità. Tra essi certamente l'Italia: la cultura della stabilità finanziaria ha avuto nel mio paese sostenitori autorevoli e coerenti nell'esercizio delle loro funzioni pubbliche, ma non ha, per lungo tempo, prevalso. Ebbene, ora non possiamo più tergiversare di fronte all'imperativo categorico di uno sforzo consistente e costante di abbattimento del nostro debito pubblico, né restare incerti dinanzi a riforme strutturali da adottare per rendere possibile una nuova, più intensa crescita economica e sociale.

Si tratta di prove di indubbia durezza, con cui dobbiamo cimentarci; e abbiamo in questi mesi cominciato a farlo, ma molto resta ancora da fare, senza indugio. E nessuna forza politica italiana può continuare a governare, o può candidarsi a governare, senza mostrarsi consapevole delle decisioni, anche impopolari, da prendere ora nell'interesse nazionale e nell'interesse europeo. Ciascuno deve fare la sua parte, ma tutti insieme dobbiamo rispondere alle domande di attualità e alle questioni di prospettiva.

Rispettiamo come sempre in modo particolare la dedizione della Germania alla causa europea, e ne ammiriamo i successi conseguiti come grande paese democratico sul piano economico-sociale e sul terreno della stabilità monetaria, comprendendo le ragioni storiche del suo attaccamento a questo essenziale pilastro. Esprimiamo amichevolmente la preoccupazione per quella che appare una riluttanza ad accettare ulteriori, ormai inevitabili, trasferimenti di sovranità - e dunque anche di decisioni a maggioranza - al livello europeo. In fondo, dal Cancelliere tedesco e dal Presidente francese sono state negli ultimi tempi avanzate proposte - poi in parte tradotte nel Patto Euro Plus - tali da scavalcare la rigida parete divisoria che si volle sancire nel vigente Trattato a protezione delle competenze degli Stati nazionali, contro una progressiva estensione di quelle dell'Unione.

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