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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2011 alle ore 08:28.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2011 alle ore 09:13.

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Il programma di riforme che il Governo Berlusconi ha presentato a Bruxelles mercoledì è stato accolto «molto bene» dal Consiglio europeo, ha detto il premier polacco e presidente dell'Unione Donald Tusk. È vero; anche il comunicato finale ne dà atto. Ma la fiducia dell'Unione è limitata. Una frase nella dichiarazione dei 17 lascia intendere che l'Italia è ormai sotto il controllo dell'Unione.

«Invitiamo la Commissione a fornire una valutazione dettagliata delle misure e a monitorarne l'attuazione, e le autorità italiane a fornire tempestivamente tutte le informazioni necessarie per tale valutazione», si legge nel comunicato. La presa di posizione può essere letta come il commissariamento del Paese, ma anche più in generale come il primo segno di una riduzione delle sovranità nazionali.

Finora le parole usate nei confronti dell'Italia erano state utilizzate solo nei confronti della Grecia, sempre sull'orlo del baratro, possibilmente del Portogallo, magari anche dell'Irlanda. Tutti Paesi della zona euro, comunque, che godono dell'aiuto dell'Unione e che sono oggetto dei controlli invasivi della troika (la Commissione, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale).

La novità è che le stesse parole ormai sono utilizzate anche per un Paese che non beneficia di un sostegno finanziario né di un programma di assistenza particolare. La situazione è atipica. La Spagna, anch'essa oggetto di una sezione del comunicato di mercoledì (più corta di quella riservata all'Italia), non ha avuto diritto a precisazioni di questo tipo sul particolare ruolo della Commissione nel monitoraggio della sua politica economica. Ai più, l'intervento del Consiglio e della Commissione nella politica economica dell'Italia può sembrare un commissariamento del Paese, troppo grande per fallire, troppo importante per concedergli il lusso dell'inattivismo. In realtà, la zona euro sta cambiando poco a poco. La crisi ha finalmente scosso gli animi. C'è ormai la consapevolezza che una maggiore integrazione è indispensabile per uscire dalla crisi debitoria.

Paradossalmente, proprio mentre il metodo intergovernativo ha la meglio sull'iter comunitario, la crescente integrazione potrebbe comportare un rafforzamento della Commissione. Ieri Olli Rehn, commissario agli Affari economici, è stato nominato vicepresidente della Commissione e "super-commissario all'euro", secondo le parole del presidente dell'esecutivo comunitario José Manuel Barroso. A Rehn il compito di monitorare i conti pubblici nazionali e di applicare i trattati. Peraltro, il comunicato di mercoledì spiega che «l'essere parte di un'unione monetaria ha effetti di ampia portata e implica un coordinamento e una sorveglianza molto più attenti per assicurare la stabilità e la sostenibilità di tutta la zona». Il controllo reciproco tra Stati membri è ormai ritornato in auge.

Il fenomeno si accompagna e si accompagnerà - se durerà - a un graduale abbandono delle sovranità nazionali, in alcuni casi controverso e doloroso. In questo senso, l'Italia è diventata all'improvviso un banco di prova per l'intera unione monetaria. Per molti versi sta quindi al Paese dimostrare che non è stato commissariato, ma che piuttosto è il battistrada di una nuova Europa.

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